Da mesi il sud e la Calabria sono protagoniste di un’emergenza non di poco conto: quella dell’immigrazione clandestina. Migliaia i profughi approdati in condizioni disperate o soccorsi in mare dalla Guardia Costiera che fuggono da un’ atroce realtà di guerra e fame, emergenza fin’ora gestita grazie all’operazione Mare Nostrum e alla collaborazione di numerose associazioni di volontari che hanno reso possibile interventi di primo soccorso e smistamento, ma il problema maggiore è: che ne sarà di loro una volta giunti in territorio italiano?Si apprende che, nelle ultime ore, Giuseppe Falcomatà, attraverso una nota stampa, tenta di dare una soluzione: “I migranti come risorsa” per ripopolare l’entroterra calabrese. “Reggio deve seguire l’esempio virtuoso di altre città come Acquaformosa, paese di mille anime in provincia di Cosenza, dove oggi sono presenti oltre cinquanta cittadini del mondo che hanno trovato, attraverso i progetti SPRAR, la dignità e la serenità per iniziare ad affrontare una nuova vita. Diverse nazionalità e religioni, perfettamente integrate con il resto della comunità grazie ad una politica dell’inclusione che consente di frequentare corsi d’italiano, partecipare agli avvenimenti sportivi e ludici del paese, convivere cercando di capire il dramma umano di persone più sfortunate di noi.”, una proposta che sa più di populismo che di realtà se si pensa alle condizioni in cui riversa il territorio, la Calabria ha molto da offrire, ricchezze naturali da far invidia al mondo, e la diversità sicuramente da sempre rappresenta una ricchezza, ma in un territorio in cui scarseggiano opportunità e lavoro in primis per i propri cittadini, che possibilità concrete possono essere create per degli individui per cui le coste calabresi rappresentano solo un approdo, un punto di passaggio, per raggiungere le “nuove Americhe”? Se si pensa all’entroterra soprattutto, il fenomeno dello spopolamento e di un età media sempre più alta è fisiologico, ma se i nostri giovani sono indotti a spostarsi per avere migliori opportunità e prospettive di vita, non si capisce come invece, chi scappa da una disperazione, vorrebbe desiderare di rimanere. Sicuramente realtà come Riace sono esempio di una politica d’integrazione sana e lodevole, ma sono il risultato di anni di lavoro e buona amministrazione in periodi in cui nessuna istituzione faceva fatica a far quadrare i conti e i progetti venivano finanziati più agevolmente, anche per questo maggiormente realizzabili, in un presente in cui si arranca e la situazione generale europea è quella che è, la Calabria deve prima pensare a se stessa e ai suoi cittadini, cercando di offrire a quest’ultimi sempre più motivi per innamorarsi della propria terra.
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