Imprenditoria, Italia: crolla quella nazionale, cresce quella straniera. Boom per i cinesi

L’Italia, ormai, è come una barca alla deriva. Pur segnando la bussola – rappresentata dalla nostra cultura secolare, dal nostro immenso patrimonio, nonché dalla nostra civiltà – la giusta rotta da seguire, noi, malgrado gli sforzi profusi, non riusciamo più a recuperare la strada persa. Abbiamo perduto il controllo, non c’è alcun dubbio. Il problema, tuttavia, non è solo questo. Una barca alla deriva, una barca della quale si è perso il controllo, diventa facile bersaglio di abbordaggi più o meno cruenti. E l’abbordaggio porta con se la depredazione, lo sfruttamento e, molto probabilmente, l’affondamento. Se, da un lato, tanto per intenderci, la nostra imprenditoria, tra chiusure, fallimenti, vendite, suicidi, è in completo crollo, strozzata dalla burocrazia e dalla pressione fiscale, dall’altro, l’imprenditoria straniera sta attraversando, nel nostro Paese, una fase di sviluppo senza precedenti. Le imprese straniere tra il 2012 e il 2013 sono aumentate del 3,1%, toccando la quota di 708.317. Di queste, 72.014 sono di origine marocchina, 67.266 sono rumene e 66.050.cinesi. Ed è proprio l’imprenditoria cinese ad essere stata protagonista di un vero e proprio boom, perché, nonostante la recessione, cresce del 6,1% rispetto al -1,6% di quella italiana. A ciò si aggiunga che nel 2008 le attività economiche cinesi in Italia erano salite del 42,9%, rispetto ad un aumento medio delle attività straniere pari al 23,1%. Tali attività riguardano principalmente il commercio, il manifatturiero, la ristorazione, il settore alberghiero e, seppur in misura minore, quello dei servizi alla persona. È stato rilevato come su oltre 223 mila cinesi residenti in Italia, ben 66 mila guidano un’attività economica. Che cosa sia successo in questi ultimi vent’anni è sotto gli occhi di tutti, anche se la cattiva propaganda ed il controllo esercitato da gran parte dei mezzi di comunicazione deviati tentano in continuazione di inquinare le nostre menti offrendoci una realtà che non corrisponde al vero e proponendoci soluzioni che non solo non sono soddisfacenti ma che addirittura gettano ancora più discredito sulle reali volontà di chi dovrebbe operare per ricostruire un Paese piegato in due e, invece, non lo fa. In questi ultimi vent’anni non solo la nostra economia e l’intero assetto sociale del nostro paese sono stati profondamente danneggiati, ma a risentire di più di questo processo di decadimento è il nostro spirito italico. Mi perdonino i difensori del pensiero unico omologante, questa osservazione non è espressione di razzismo, ma un doveroso tributo alla nostra storia, a quello che l’Italia – erede della cultura romana, cristiana e, perché no, greca – è stata per secoli, anche se solo come espressione geografica almeno sino al momento dell’unificazione. C’era, tuttavia, un minimo comune denominatore: la nostra civiltà. Che fine abbiano fatto spirito e civiltà italici non è dato sapersi. Oggi, non resta che prendere atto del fatto che, eccetto pochi ambiti, siamo superati in tutto, e non solo nel resto del mondo, ma anche a casa nostra.

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About the Author: Luigi Iacopino