Mio zio prete era decisamente viziato a tavola. Lo viziava mio padre che cercava per lui ogni bontà e gli cucinava tutto ciò che gli piaceva. Lo viziava mia madre che lo serviva per primo e lo trattava come un “signorino”. Lo viziava mia sorella Marisa che gli sbucciava la frutta. Gli volevamo tutti un mondo di bene e lui ne voleva a noi. Marisa stravedeva per zio, oltre che sbucciargli la frutta, era diventata la sua assaggiatrice di frutta. Zio prete odiava l’acre, l’amaro ed il “sorbuso” (amaro della frutta non ancora matura). Per cui gradiva molto che Marisa assaggiasse la frutta prima di servirla a lui. Era un bravo uomo mio zio prete. Ma era un prete con le sue idee, non era molto curiale, anzi direi per niente, preferiva la strada e la gente alla gerarchia. Ed aveva pagato per questa sua preferenza. Ma era anche “incazzevole”. L’unica persona per la quale nutriva timore reverenziale, in fondo, era mio padre, che a sua volta lo trattava come il figlio più grande, piuttosto che come un fratello. Amava le arance dolci, della varietà vaniglia, zio prete. Quel pomeriggio, di ritorno dalla raccolta dei bergamotti, mio padre aveva portato un “panaro” di arance, dono del colono del giardino. Alcune erano vaniglia e papà aveva raccomandato a Marisa di sbucciarne una a zio prete, una volta svegliato dalla quotidiana pennichella pomeridiana. Così fece e gliela fece trovare pronta sul piatto. Il prete, diffidente, la pregò di assaggiarla. Marisa rispose che era dolce … Apriti cielo… La sera Marisa chiese scusa al permalosone del prete, scoprimmo così che a Lei piacevano le arance “dolciamare”
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