Il giorno delle elezioni, fissate per il 28 Aprile, si avvicinava sempre più. Per le strade del paese e della città vi era uno strano via vai di macchine, attrezzate con altoparlante sul tetto, che facevano propaganda politica, sporcando le strade con i volantini che lanciavano dai finestrini. Molti di quelli, come già raccontato, sarebbero finiti, al posto delle schedine del totocalcio, a togliere il sapone da barba dal rasoio di Vincenzo. Davanti la sede della delegazione municipale avevo letto dei manifesti sui quali c’era scritto che erano indetti i comizi elettorali. Sugli stessi vi erano i simboli dei vari partiti e l’elenco dei candidati. Avevo chiesto quindi al maestro Zaccaria che mi spiegasse cosa erano, i comizi elettorali di cui parlavano i manifesti. Mi disse che col termine comizi si intendeva la convocazione degli elettori per le elezioni. Quel sabato pomeriggi, 20 aprile, una macchina dall’altoparlante annunciava, sopra una fortissima musica di sottofondo che sembrava un inno, che la sera in piazza Duomo ci sarebbe stato un comizio di un candidato alle elezioni. Chiesi a mio padre di cosa si trattasse. Mi spiegò che ci sarebbe stato un uomo che da un palco, utilizzando gli altoparlanti, avrebbe esposto le sue idee ed i suoi programmi per le elezioni alla folla accorsa, allo scopo di raccogliere i voti. Mi resi conto allora che in politica si possono usare gli stessi termini con significati diversi. O meglio che con la stessa parola si possono dire e voler dire cose diverse. Insomma una gran confusione. Ne parlai a mio padre, il quale mi confermò, se avevo compreso che in politica si usa la stessa parola, attribuendogli significati differenti, avevo compreso bene. Secondo lui avevo compreso, anche se troppo presto, data la mia età, cosa era la politica. Sorrise.
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