Nell’aprile del 1564, in data ancora non certa, forse il 23 o qualche giorno prima del battesimo avvenuto il 26 di quello stesso mese, nacque a Stratford-on-Avon William Shakespeare, uno dei geni universali della letteratura, così rari nel tempo al pari di Omero, Dante, Goethe. Nel 450° anniversario della nascita, celebrata ovunque nel mondo, l’Associazione Culturale Anassilaos promuoverà una serie di incontri dedicati al bardo inglese che avranno inizio martedì 20 maggio alle ore 18,00 presso la Sala di San Giorgio al Corso con una lezione- la prima – che la Prof.ssa Francesca Neri dedicherà ad analizzare i rapporti tra il drammaturgo e poeta e l’Italia. A parte le fantasiose ipotesi di una origine italiana di Shakespeare – nato in Sicilia e addirittura a Messina – e che restano appunto fantasiose, sorte forse dal bisogno di colmare, nella biografia dell’artista, una lacuna riconosciuta di un paio anni per i quali si è ipotizzato anche un viaggio nell’Italia settentrionale e di spiegare così riferimenti particolari e specifici all’Italia che affiorano in non pochi dei suoi drammi, con ogni probabilità frutto di frequentazioni del Bardo con i molti italiani residenti a Londra, mercanti soprattutto, e con la conoscenza, accertata, di Giovanni Florio, maestro presso la casa di Henry Wriothesley, conte di Southampton, che Shakespeare frequentava, il Bel Paese appare come luogo di ambientazione di molti dei suoi drammi. La Padova della Bisbetica domata, la Verona di Romeo e Giulietta, e poi Venezia, il più importante dei luoghi ‘mitici’ di Shakespeare, ambientazione prediletta dei drammi, vista dagli Inglesi come uno stato potente, civilizzato ma anche simbolo di decadenza morale. L’Italia osservata da Shakespeare è d’altra parte un paese di grande antica civiltà, ma anche un luogo di corruzione e di amoralità machiavellica. Una contraddizione per l’artista che molte volte ha utilizzato, per i suoi drammi e per le trame delle sue storie, la letteratura italiana al punto che uno studioso inglese ha potuto affermare che “senza il modello della narrativa e del teatro italiani, la drammaturgia shakespeariana non avrebbe assunto la forma e la ricchezza che conosciamo”.