“Panino al prosciutto” di Charles Bukowski fornisce tutte le risposte che il lettore cerca. Il tassello mancante. E se ne accorge subito chi conosce bene le sue opere. Personalmente ne sono rimasta affascinata sin dalle prime pagine. La lettura è scorrevole, immediata. Lo stile secco, deciso, senza fronzoli. L’ho subito amato, e sebbene all’inizio mi sembrasse un po’ troppo diretto e un po’ troppo crudo con il passare del tempo sono riuscita a comprenderlo in tutta la sua complessità . Ho cominciato a capire il suo percorso di vita, la sua personalità, a volte enigmatica a volte chiusa nei confronti del mondo. Ho cominciato a capire il suo modo di pensare, mi sono immedesimata in lui, nelle sue giornate vuote, nella sua nullafacenza, e nel suo stare ai margini della società. Ma mi sono chiesta soprattutto perché? Perché questo suo comportamento con le donne? Perché questo suo rapporto con la bottiglia e questo grande odio verso la società? Poi finalmente l’ho capito, ma ho dovuto leggere tra le righe. In questo libro Bukowski, o meglio Chinaski, palesemente il suo alter ego, ma anche il nome del protagonista, ci racconta tutta la sua vita, dalla prima infanzia all’università. Durante il corso della lettura, pagina dopo pagina, emerge uno strano rapporto con le donne, anche se ad esse lui ci pensa quasi con rammarico, ma poi nemmeno ci prova, come se non ci fossero donne adatte a lui, al suo ceto sociale, al suo personaggio. Poi c’è il rapporto con la bottiglia. Inizia da giovane a bere e non smette più. Lo dice diverse volte: è una fuga dalla realtà, qualcosa che nn gli fa pensare a ciò che è o a ciò che fa. Se ne innamora subito, parte dal vino, fino a bere di tutto. È un frequente raccontare di continue bevute, la sera con gli amici quando sgattaiolava fuori dalla finestra di notte non appena i suoi si addormentavano. E poi c’è l’odio e il disprezzo per la società. Intenso. Forte. Pressante. In questo libro si legge di lui contro tutto e tutti, quando in realtà il suo unico vero nemico non è altri che se stesso. Una vita passata a sopravvivere, a combattere. Singolare è il conflitto con la famiglia, in presenza di un padre-padrone bigotto che sa comunicare con lui solo a suon di botte e di una madre senza personalità, anch’essa incapace di capire o dimostrare affetto al figlio. Cresciuto in uno dei quartieri più poveri di Los Angeles, con un padre che si vergogna delle sue condizioni umili e fa di tutto per nasconderlo al vicinato, addirittura facendo sì che il piccolo Buk non giochi con i suoi vicini di casa, poveri anch’ essi. E poi le ripetute percosse del padre quando non tagliava bene l’erba del giardino, il fatto di essere sempre emarginato perché, prima solitario e taciturno, poi perché afflitto da una grave forma di acne vulgaris che non gli permette di stare bene con se stesso e con gli altri ( evita anche di andare al ballo di fine anno). Tutto questo si può leggere in questo bellissimo libro, ambientato in uno spaccato americano del secolo scorso. Un grande Bukowski, un grande animo tormentato dal fascino intramontabile. Leggetelo e poi mi direte…
Leggendo tra le righe