Giustizia e Pregiudizio

gpMia madre, ogni qualvolta, nelle conversazioni serali attorno alla “conca”, si affrontava il tema giustizia, mostrava un forte scetticismo. Mio zio prete, malgrado avesse dichiaratamente votato per la monarchia, mostrava un sincero apprezzamento ed attaccamento al nostro dettato costituzionale. Fui io, grazie al volumetto regalatomi dal maestro Zaccaria, a chiedere a zio prete di parlarci della Costituzione. Lo fece con piacere e con la solita ampia conoscenza. Ci spiegava il “sistema”, l’ordinamento dello Stato. Quando arrivava a parlare di giustizia, doveva fermarsi, mia madre gli chiedeva sempre se, secondo lui, funzionasse veramente. Quelle volte in cui mio zio prete, leggendo il giornale, ci raccontava di qualche arresto, declinando le generalità dell’imputato, mia madre diceva di pregare per quel povero uomo. Mio zio prete ribatteva che è doveroso pregare per tutti, per il loro perdono divino, ma che la giustizia terrena avrebbe dovuto fare il suo corso. Non erano d’accordo. Si accapigliavano e diventava difficile continuare la conversazione, senza dover cambiare argomento. Per mia madre la giustizia era fatta dagli uomini, dagli uomini di legge, mettendovi dentro tutti: magistrati e forze dell’ordine, quindi era fallibile, come tutti gli uomini, del resto. Sembrava prevenuta. Ma notai che mio zio prete, contrariamente alle sue abitudini, anche se gli dispiaceva che mia madre si arroccasse su una posizione pregiudizievole, senza accettare spiegazioni, non la contraddiceva, pensai per rispetto, dato che le voleva bene come fosse, anche, sua madre.  Un pomeriggio zio prete, rispose alla mia curiosità. Mi spiegò che il fratello di mia madre, mentre era in guerra aveva ricevuto la notizia della morte di un figlio (il primo maschio), gli rifiutarono la licenza. Andò in escandescenze e, piuttosto che capirlo e curarlo, lo carcerarono: ingiustamente. Fu solo la saggezza di alcuni giudici a rendergli giustizia. Mia madre dal canto suo, mi raccontò un episodio. Durante la guerra, mio padre al fronte in Africa, suo zio Andrea Sergi, le dette in custodia una mucca. L’impegno era che la allevasse, utilizzando il latte per sé e per mia sorella Paolina, nata nel 1939, e la restituisse a guerra finita. Mia madre, con il latte, sfamava oltre che la propria famiglia anche quelle di alcune amiche. Una notte qualcuno rubò la mucca, dalla stalla. Quando arrivarono i carabinieri, accompagnati dal maresciallo dell’epoca, terrore del paese, ipotizzarono che il furto era stato perpetrato da un vicino di mia madre, noto come ladro alle forze dell’ordine. Volevano convincere mia madre a dichiararlo colpevole. Mia madre rifiutava. Il maresciallo, che in fondo era un bravo uomo ed aveva rispetto filiale nei confronti di tutte le donne sole del paese, le chiese “donna Concetta, perché non volete denunciare il ladro, avete paura?….ci siamo qui noi!”. Allora mia madre rispose che il presunto colpevole non aveva interesse a rubare la mucca. Il latte sua moglie lo aveva, dono appunto di mia madre. Quindi perché avrebbe dovuto rubare proprio la sua mucca, anche perché lui il latte lo beveva nelle patrie galere, dove risiedeva da almeno due anni…… Il maresciallo non rispose andò via con i suoi uomini. Ma da quel giorno per tutta la guerra ed anche dopo, ogni volta che passava davanti casa di mia madre, si fermava per assicurarsi che non avessero bisogno di nulla lei e mia sorella, alla quale portava sempre in dono qualcosa: un biscotto, una noce, una castagna, un fico secco … mai pregiudicare!

Enzo Cuzzola

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