15\03\2014 – di Katia Germanò – L’importanza strategica del Corno D’Africa, la penisola dalla forma triangolare che si sviluppa all’estremità orientale del continente africano, è riconosciuta internazionalmente ormai da molti anni (come si può ben capire anche dai dati forniti dal CeSI, Centro Studi Internazionali, nell’approfondimento del mese di marzo). I Paesi compresi in questa regione sono l’Eritrea, il Gibuti, l’Etiopia e la Somalia (incluse le repubbliche semi-indipendenti di Somaliland e Puntland). A questi si aggiunge un quinto membro, il Kenya, grazie agli avvenimenti politici dell’ultimo decennio che hanno fatto si che orientasse la propria politica estera in misura maggiore verso il Corno d’Africa che verso la Regione dei Laghi (Congo, Uganda, Burundi, Ruanda) e l’Africa australe orientale (Tanzania, Mozambico, Madagascar). La sua posizione geografica ricopre un’importanza strategica primaria sia per lo sviluppo economico africano che per i flussi commerciali euro-asiatici, di fatto ha il controllo delle rotte marittime che regolano i traffici di merci tra Europa, Africa, Asia e, parzialmente, Medio Oriente. Inoltre, le migliaia di chilometri di costa e i grandi porti con le reti infrastrutturali di prossima realizzazione, rappresentano il futuro sbocco per la commercializzazione dei prodotti provenienti dalla regione dei Laghi, dall’Etiopia e, soprattutto, dal Sud Sudan. Tutto ciò fa capire che, per lo sviluppo economico di quest’area, non si può sottovalutare la sicurezza del Golfo di Aden e la difesa della libertà di navigazione nell’Oceano Indiano. Diventa, dunque, particolarmente importante la lotta alla pirateria per la Comunità Internazionale che vuole raggiungere i suoi obbiettivi economici, perché le attività dei pirati non solo mettono a rischio la vita degli equipaggi e il carico di singole imbarcazioni, ma causano un impressionante innalzamento dei costi di navigazione sia diretti (carburante, manutenzione nave) sia indiretti (assicurazioni sul carico). Un’altra questione seria che pone l’attenzione del mondo sul Corno d’Africa è la diffusione del terrorismo islamico di matrice qaedista. La regione africana orientale costituisce uno dei fronti più sanguinari del jihad globale, soprattutto da quando al-Shabaab (Harakat ash-Shabāb al-Mujāhidīn, Movimento dei giovani combattenti), gruppo jihadista somalo, ha rafforzato i propri legami con al-Qaeda, estendendo meticolosamente le proprie attività a tutto il Corno d’Africa e non più solo alla Somalia. L’area d’azione di al-Shabaab si estende, dalle foreste del Congo orientale sino alle coste dello Yemen e ha nel sud della Somalia il proprio quartier generale. Il gruppo, le cui capacità militari e politiche si sono evolute, rappresenta una minaccia concreta non solo per la stabilità dei governi nazionali, ma anche per gli interessi economici dei Paesi occidentali. A queste problematiche, fino ad ora evidenziate, si aggiungono i traffici di esseri umani e di armi che hanno nell’Eritrea il loro corridoio preferenziale. Da Asmara parte la rotta migratoria dell’Africa orientale diretta sia in Europa che in Medio Oriente, che va ad aggravare l’emergenza umanitaria legata all’immigrazione clandestina che affligge in modo particolare i Paesi della sponda nord del Mediterraneo. Per questo le organizzazioni internazionali si trovano nella difficile situazione di dover intensificare i propri sforzi per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni locali ed eliminare alla radice le cause che spingono i migranti a lasciare i propri luoghi d’origine. Asmara rappresenta anche il tramite tra l’Iran e i mercati africani e mediorientali per il traffico di armi che è l’unico strumento che alcuni governi posseggono per aggirare l’embargo a loro imposto dalle Nazioni Unite.
L’impegno e l’interesse dell’Italia in quest’area per cercare di risolvere le criticità è stato, ed è tuttora, notevole ed è dimostrato dalla costruzione della prima base militare interamente nazionale in questo territorio. Il 23 ottobre 2013 il capo di Stato Maggiore della Difesa, l’Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha ufficialmente inaugurato la base italiana di Gibuti. Il nuovo avamposto delle nostre Forze Armate ha un’estensione di 5 ettari e sorge nei pressi del villaggio di Nagad, a circa 10 km a sud-est dell’aeroporto internazionale del piccolo Stato africano. Il proposito di costruire una base a Gibuti si è palesato per la prima volta nel 2007, quando alcune unità della Marina Militare sono state integrate nel dispositivo navale internazionale delle missioni “Atalanta” e “Ocean Shield”. I lavori per la costruzione della base sono iniziati nell’agosto del 2013 e sono stati eseguiti dalle truppe dell’Esercito, nello specifico dalla Task Force “Trasimeno”, inquadrata nel 6° Reggimento Genio pionieri di Roma. Durante i lavori i nostri militari si sono contraddistinti per le iniziative sociali a favore della popolazione locale – incontri con i leader delle comunità dei villaggi, distribuzione di aiuti umanitari, utilizzo della manodopera gibutiana per i piccoli lavori di manutenzione – indispensabili per incrementare la fiducia reciproca e, di conseguenza la sicurezza, tra il contingente italiano e il popolo gibutiano. La base è stata progettata per adempiere ad una vasta scelta di missioni legate alla stabilizzazione del Corno d’Africa ed al contrasto alla pirateria nel Golfo di Aden. Servirà come hub logistico per preparare i Nuclei Militari di Protezione (NMP) e come supporto alle navi della Marina Militare impiegate nelle missioni internazionali. Inoltre potrà essere utilizzata per l’addestramento delle truppe gibutiane e somale, come stabilito dagli accordi di cooperazione militare tra l’Italia e questi due Paesi ed, infine, in caso di emergenza, potranno partire team di Forze Speciali per operazioni di liberazione ostaggi. La costruzione della base italiana a Gibuti è un punto di partenza per incrementare il nostro ruolo nel territorio del Corno D’Africa. L’impegno italiano non è diretto soltanto all’eliminazione delle problematiche di quest’area, ma soprattutto alla creazione di una partnership con i governi dei Paesi inclusi in essa. Negli ultimi anni, infatti, il nostro governo è tornato a guardare alle opportunità che offre il continente africano con rinnovato interesse, e la Somalia, Gibuti e l’Eritrea potrebbero diventare dei potenziali partner sia economici che politici.