E’ da quando lo sentii parlare per la prima volta, in una trasmissione in radio, che mi venne la curiosità di addentrarmi nel suo mondo e di conoscere meglio ” la vecchia checca”. Pur avendo sempre odiato i pregiudizi di ogni sorta, mi sono resa conto di non aver mai conosciuto veramente il mondo dell’omosessualtà. Mi arrabbio se ne sento parlare male, mi dà proprio fastidio svisceratamente: ognuno deve vivere come meglio crede, ognuno deve esprimere la propria sessualità nel modo più appagante per sè e per la persona che la condivide con lui o lei. Qualche giorno fa sono entrata in possesso del libro, DIARIO DI UNA VECCHIA CHECCA di Nino Spirlì, con un po’ di titubanza devo dire, decisa a leggerlo: non era il genere narrativo che prediligo negli ultimi tempi. Il mio trascorso narrativo è intriso di tutti i classici della letteratura straniera e in parte italiana, per approdare da qualche anno ai miei amati thrillers, quelli americani per intenderci. Li adoro, li bevo, mi fanno evadere dalla quotidianità… Dunque per curiosità ho iniziato prima a sfogliarlo, a guardare la copertina, l’ho persino odorato (non ridete, purtoppo non so perchè lo faccio sempre, adoro l’odore della carta). In questo modo il libro entra dentro di me, ne devo assorbire ogni cosa. Sono rimasta colpita dalla dedica: A me stesso, figlio di mio padre e di mia madre. Mi è parsa strana questa frase, le dediche di solito sono rivolte ad una persona cara, un familiare, un caro amico. Questa mi risultava non convenzionale e ricordo di aver pensato che Spirlì forse soffrisse di solitudine al momento della stesura e che comunque ne avrei scoperto il motivo durante il percorso narrativo della lettura. Inizio a leggere. E’ un diario. Data d’inizio 4 ottobre 1982: Arrivo a Fossano, Sottotenente di Cavalleria, con la mia nuova Fiesta color ghiaccio, dopo un viaggio lungo tutta l’Italia, dalla Calabria a qui. E qui comincia anche il mio viaggio nei meandri della sua vita, giorno dopo giorno, attraverso i primi dubbi, attraverso nuove scoperte, attraverso la conoscenza e quindi la consapevolezza del SE’. Per un momento durante la lettura mi sono trovata spiazzata, sembrava una carrellata di amanti gay e di “eterofroci” come li definisce lo stesso autore, cioè di quegli uomini che tengono nascosta la propria sessualità per vergogna. Ho pensato di interrompere il libro e di non andare più avanti, fino a che non sono arrivata a quando lui si innamora per la prima volta e vive la sua storia in modo intenso, bello, pulito e alla tragica fine della stessa per la morte del compagno in un incidente con la moto. Se pensate però di leggere apertamente dolore, gioia o altro sentimento da parte dell’autore rimarrete delusi: lui ha una dignità tutta propria, che traspare da ogni foglio e da ogni parola del libro. Il lettore deve… leggere tra le righe… E che dire di quando parla della sua famiglia? Fantastico! E’ bellissimo il momento in cui confessa al padre la sua vera natura. E’ ammirevole la disinvoltura con cui questi apprende ed accetta la notizia. La figura del padre è una delle più notevoli del romanzo. Un uomo tutto d’un pezzo che segue ed incoraggia il figlio a distanza. Molto forte ed intenso è il momento della sua morte, momento in cui Nino soffre tanto al punto da sfiorare la blasfemia quando si sente abbandonato da Dio. Ma tanto e tanto ci sarebbe da dire sul libro e vi lascio con le parole dell’autore: Parto per dove non sai. Vado per non morire. E porto con me il mio futuro.
Il mio consiglio dunque? Leggetelo e gustatelo così come ho fatto io.
Leggendo tra le righe