“Vivo nel terrore di ammalarmi di ipocondria”, Paolo Burini, Conversazioni etiliche, 2007
L’ipocondria viene definita dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV-TR) come la preoccupazione dovuta alla convinzione di avere una malattia grave. Tale convinzione erronea è causata dall’ interpretazione scorretta di alcune sensazioni corporee e persiste nonostante un’accurata valutazione medica escluda la presenza di una condizione di patologia tale da giustificare la preoccupazione ipocondriaca. Secondo il manuale (DSM-IV-TR), i criteri per fare diagnosi di Ipocondria sono:
- La preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una malattia grave, basate sulla erronea interpretazione di sintomi somatici da parte del soggetto.
- La preoccupazione persiste nonostante la valutazione e la rassicurazione medica appropriate.
- La convinzione non risulta di intensità delirante (come nel Disturbo Delirante, Tipo Somatico) e non è limitata a una preoccupazione circoscritta all’aspetto fisico (come nel Disturbo di Dismorfismo Corporeo).
- La preoccupazione causa disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo, o in altre aree importanti.
- La durata dell’alterazione è di almeno 6 mesi.
- La preoccupazione non è meglio attribuibile a Disturbo d’Ansia Generalizzato , Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbo di Panico (Senza Agorafobia e Con Agorafobia), Episodio Depressivo Maggiore, Ansia di Separazione, o un altro Disturbo Somatoforme.
Tipicamente gli ipocondriaci sovrastimano la serietà e la natura di alcune modificazioni corporee naturali, interpretandole quali sintomi inerenti a condizioni mediche generali. Chi soffre di tale disturbo può focalizzare la sua attenzione verso determinate funzioni corporee (per es. il battito cardiaco, la respirazione), alterazioni fisiche di lieve entità (per es. piccole ferite o una saltuaria allergia), sensazioni fisiche indistinte o confuse. Le paure tipiche del soggetto che soffre di ipocondria riguardano essenzialmente il timore di avere una malattia o di poter contrarne una in futuro. Ciò che elicita lo stato d’ansia è l’esposizione a stimoli correlati alle malattie, tra questi oltre alle sensazioni corporee o ai cambiamenti somatici, anche le informazioni relative alle malattie come ad esempio la visione di programmi medici televisivi in cui appaiano persone malate, o entrare in contatto con argomenti relativi al mondo degli ospedali e della medicina. La ricerca di rassicurazione e il checking, piuttosto che l’evitamento e la fuga, sono le reazioni comportamentali tipiche di chi soffre di questa patologia clinica. Il pensiero di essere affetto da una qualche sindrome, porta il soggetto a dedicare un eccessiva quantità di tempo alla ricerca di rassicurazioni mediche, attraverso richieste di effettuare esami clinici e visite, ricorrenti auto-esami corporei, ed il ricorso a preparati farmaceutici o fitoterapici. Il soggetto, altamente convinto di essere malato, organizza la sua vita secondo le caratteristiche delle persone che soffrono della malattia da lui stesso rilevata. Molto spesso tendono a lamentarsi, a concentrare l’attenzione e le conversazioni su questo tema, compromettendo spesso il rapporto con i propri cari e con i medici spesso ritenuti poco attenti o superficiali nelle indagini utili alla diagnosi della malattia. Al contrario, la paura di contrarre una malattia, è associata di frequente a strategie quali l’evitamento e la fuga da stimoli che il paziente ritiene correlati allo stato di salute. Egli tenderà, infatti, ad evitare ospedali, persone che appaiano malate, o evitare contatti con persone esposte alle malattie come medici e infermieri. Preferirà, inoltre, evitare tutto ciò che ha a che fare con la malattia come i quotidiani, le riviste, i programmi televisivi, oltre che le indagini mediche di routine a fini preventivi. E’ facile che in questa condizione il paziente ricorra a varie forme di auto-diagnosi e di auto-trattamento riducendo i contatti con il sistema sanitario. Studi sulla distribuzione del disturbo del suggeriscono un equivalenza tra popolazione maschile e femminile, sottolineando la presenza del disturbo del 1-5% e del 2-7% tra i pazienti dei servizi di medicina generale.
Il modello di psicoterapia cognitivo-comportamentale, attualmente tra i più accreditati scientificamente, considera l’ipocondria come l’esito di una combinazione di aspetti psicologici, distinguibili in fattori predisponenti, fattori precipitanti e fattori di mantenimento. Secondo questo modello, nell’individuo è spesso possibile rintracciare una certa predisposizione a sviluppare un disturbo ipocondriaco, a causa della presenza di alcuni fattori di rischio biologici e psicologici: tipicamente una propensione biologica ad avere un corpo che produce diverse sensazioni fisiche intense, ma benigne; particolari esperienze di apprendimento durante l’infanzia; ambiente familiare, e specifiche caratteristiche cognitive quali l’ipervigilanza, i bias cognitivi, alto grado di suggestionabilità e credenze disfunzionali sulla malattia. Su questo substrato di vulnerabilità individuale interverrebbero, dunque, alcuni fattori precipitanti che potrebbero fungere da fattori di scompenso: eventi di vita stressanti, esposizione ambientale a fonti di informazione relative alla salute e stati emotivi che agirebbero da amplificatori. La tendenza ad interpretare determinate risposte somatiche in senso minaccioso genererebbe una elevata quota d’ansia, poi mantenuta e rinforzata da strategie di fronteggiamento inadeguate e disfunzionali come la ricerca ossessiva di rassicurazione, il body-checking e l’evitamento. Il trattamento che tenga di conto di queste caratteristiche e che ha al suo interno una struttura di intervento specifica, come quello cognitivo-comportamentale, rappresenta uno degli interventi più efficaci per aiutare le persone affette da questo disturbo e permettere loro di vivere una vita più serena.
Dott.ssa Olga Iiriti
Psicoterapeuta cognitivo – comportamentale