22\02\2014 – Per consolidata giurisprudenza, ai fini dell’integrazione del reato di favoreggiamento della prostituzione, è sufficiente porre in essere una condotta che, indipendentemente dal movente dell’azione, comporti un’agevolazione dell’altrui meretricio, e, più specificamente, occorre che tale condotta sia di “ausilio” all’esercizio della prostituzione. Non è necessario, infatti, che sussista un contatto diretto tra agente e cliente, ma è sufficiente che si procurino condizioni agevolative per l’esercizio della prostituzione e che tale condotta “agevolativa” sia posta in essere “consapevolmente” circa l’ausilio che la stessa apporti al meretricio. Recentemente la Corte di Cassazione è stata chiamata a decidere su un ricorso proposto dalla Procura Generale di II° grado, avverso la Sentenza di Assoluzione “per insussistenza del fatto”, pronunciata dal Tribunale di I° grado nei riguardi di un uomo, imputato del predetto reato, ai sensi degli artt. 81, comma II° Codice Penale e artt. 3 comma II° e 8 della Legge 75/1958 (cd. Legge Merlin): nella Sentenza n. 7338/14, la Suprema Corte, III° Sezione Penale, ha rigettato il ricorso proposto dalla Procura Generale, poichè, seppur confermando la valenza processuale dei suindicati principi di diritto in tema di favoreggiamento della prostituzione, ha precisato che, nel caso di locazione d’immobile a persona esercente l’attività di meretricio, qualora il contratto di locazione venga stipulato secondo il corrente prezzo di mercato, e quand’anche il locatore sia a conoscenza dell’attività che nel proprio appartamento verrà posta in essere dal locatario, non è configurabile a suo carico il reato di favoreggiamento. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, il locatore, affittando il proprio immobile, non apporta un “ausilio” all’attività del meretricio, essendo il contratto di locazone finalizzato a soddisfare un’unica esigenza del conduttore, ossia l’esigenza abitativa, il cd. “diritto all’abitazione”, diritto che, secondo gli Ermellini, rientra a pieno titolo nel novero dei “beni primari collegati alla personalità” (cd. “Diritti fondamentali della persona”), e che, quindi, come tale, è degno di tutela giuridica ex art. 2 della Costituzione, secondo cui “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Secondo la Suprema Corte, infatti, a conclusioni diverse si sarebbe giunti qualora il locatore, oltre al mero godimento dell’immobile, avesse garantito al conduttore anche prestazioni “accessorie”, estranee alla ratio del contratto di locazione, ed “in concreto” agevolative del meretricio, quali ad esempio, inserzioni pubblicitarie circa l’attività posta in essere nell’appartamento, ricezione di clienti, fornitura di profilattici, ect….Pertanto, qualora lo scopo specifico della locazione sia il soddisfare l’esigenza abitativa del locatario, e non il costituire nel proprio appartamento una casa di prostituzione, l’attività posta in essere al suo interno non può essere penalmente riconducibile al locatore, poichè il negozio giuridico stipulato riguarda la persona del conduttore e la sua esigenza abitativa, e non anche l’attività di meretricio in esso esercitata: sebbene, infatti, l’affitto dell’appartamento agevoli, di per sè, la prostituzione, tale agevolazione, secondo la predetta Sentenza n. 7338/14, è soltanto “indiretta”, ossia esula dal rapporto di causalità tra condotta del locatore e l’evento del favoreggiamento della prostituzione, poichè il locatore, affittando il proprio appartamento per esigenze “abitative” del conduttore, non arreca alcun ausilio “concreto” all’attività di meretricio in esso eventualmente svolta.
Avv. Antonella Rigolino