di Leo Iiriti – Oggi la grande domanda che dovremmo rivolgere a noi stessi è: viene prima l’Italia o l’Europa? Oggi per risollevare il nostro paese avremmo bisogna di capire quali sono le priorità perché, da un lato l’Europa senza l’Italia non avrebbe lunga vita, e dall’altro, l’Italia, per come si sono sviluppate le cose nel corso degli anni, non potrebbe fare a meno dell’Europa. Oggi l’unico elemento che costituisce l’unione di un territorio vasto, e diverso sotto molti punti di vista, è la moneta, ma come si fa ad unire popoli diversi presenti in un territorio così vasto, solo con l’unione della moneta. Oggi l’unico elemento che avvicina un italiano ad un tedesco o a un francese è una moneta unica. Ma la moneta da sola è in grado di creare unione o servono altri elementi? Credo proprio di no. Da quando è nato l’euro, con il passare degli anni, il progetto di creare un’area comune tra popoli diversi si è lentamente dissolto. Una unione che negli anni, con un po’ più di pazienza, si sarebbe potuta creare con vantaggi per tutti, è totalmente svanita. Chi potrà spiegare l’importanza di una unione politica e gli inevitabili vantaggi che un territorio comune può realizzare ad un cittadino greco, oppure ad un padre di famiglia che ha perso il posto di lavoro perché l‘azienda che con la lira esportava, oggi si trova a dover chiudere mandando le persone a casa. Un progetto nuovo deve portare al miglioramento della società nel suo insieme, ridurre le differenze economiche tra i diversi territori. Ma, se invece di diminuire, queste differenze aumentano, come può tutta una nuova area prosperare? Quale cittadino greco, italiano o spagnolo può credere in un progetto del genere quando ha perso il suo lavoro e i figli non trovano occupazione? Molti economisti sostengono che l’Italia era legata a vecchie logiche politiche economiche, che con la globalizzazione e l’apertura dei mercati dovevano essere assolutamente sradicate per creare un nuovo progetto con notevoli vantaggi per tutti. E’ stato detto: “l’Italia è una carrozzone trainato dalla spesa pubblica che produce solo debito”. Così proprio non è stato perché nel periodo della prima repubblica seppur tra mille contraddizioni, l’Italia riuscì ad essere una delle prime potenze economiche, con un ruolo strategico in tutta Europa. L’Italia avrebbe potuto abbandonare una politica della spesa pubblica per creare una nuova politica economica che puntasse più sul privato che sul pubblico. Ma il nostro è un paese con un passato complesso e con profonde diversità: tra il sud e il nord, in termini di capacità economica, ci sono delle nette differenze, e non è riducendo la spesa pubblica all’improvviso che si risolvono i problemi. Sarebbe stato più utile pianificare una strategia che, nel giro di dieci quindici anni, avesse aumentato quegli investimenti privati in grado di stabilire equità sociale. Tutto questo, nel tempo, non si è realizzato perché l’obiettivo non era quello di creare un territorio comune con comuni obiettivi, mai vi era solo l’intento di far accumulare maggiori ricchezze a chi già le possedeva. Io credo che il 2014 sia un anno molto delicato: ci saranno le elezioni europee e bisognerà capire cosa vorrà l’elettorato dai suoi rappresentanti al parlamento europeo. Non credo che la gente sia più disponibile a sentire la parola austerity, vorrebbe invece vedere una programmazione seria, basata su investimenti che possano attrarre i capitali. Credo che questo anno farà capire a tutti cosa vuole realmente essere l’Europa, se un territorio nuovo e comune, oppure un territorio che, consapevole delle sue difficoltà, che sono davanti agli occhi di tutti, preferisca creare disgregazione o aggregazione.
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