Incostanti, nichilisti e corrucciati, in pratica italiani e reggini

statisticheIn occasione della pubblicazione del sondaggio, dalla società Ipr Marketing sul consenso di cui godono i sindaci dei comuni capoluoghi, mi sono venute in mente alcune considerazioni. Scendono in generale il gradimento verso tutti gli amministratori.Perdono consensi ,il sindaco della Capitale Ignazio Marino che ottiene il 56,5% dei consensi perdendo il 7,4% rispetto al giorno dell’elezione. Trend negativo anche per il sindaco di Genova, Marco Doria perde 15 punti in un anno, scendendo al 48%, Giuliano Pisapia, oggi è al 51% con un calo di 9 punti rispetto allo scorso anno. Stesso livello di consenso (51%) al Sindaco di Napoli Luigi De Magistris che l’anno scorso poteva contare invece su un 59% di ben altro spessore. In calo ulteriore anche il sindaco grillino di Parma Federico Pizzarotti che in un anno perde il 4% scendendo al di sotto della soglia del 50% (49%). Ci si è mai chiesti, come mai?

Ho finito di leggere da qualche giorno  L’italiano, dove Sebastiano Vassalli fantastica il giorno del Giudizio Universale in cui Dio chiama un uomo in rappresentanza di ogni nazionalità. Arrivato al momento di chiamare l’Italiano, non ebbe risposta. ….. Riprovò a chiamarlo. Allora l’Italiano, scorgendo che tutti si erano girati verso di lui e lo stavano osservando, sbarrò gli occhi e si mise la palmo della mano sul petto. E chiese: «Chi, io? »”. Comportamento tipico italiano? Problematico negarlo…

Amenità a parte, questo libro prende le mosse da uno dei luoghi comuni che più spesso sentiamo dire : “l’unica caratteristica comune a tutti gli italiani è che essi non hanno un carattere nazionale che li unisce”. Gli italiani non sono una nazione perché “fatta l’Italia, non si sono mai fatti gli italiani”, interpretando quel pensiero di Massimo d’Azeglio. Ma sarà poi vero? Ogni popolazione ha dai cromosomi specifici, solo che nel caso italiano, essendo più difficile scovarli e definirli, si è sempre favorita la tesi dell’assenza di un carattere nazionale. La verità vera e che la nostra identità combacerebbe con l’antipolitica “intesa come avversione a rispecchiarsi in nome di un interesse generale” L’affermazione è certamente esagerata, ma conferma la nostra tendenza di ingigantire i nostri difetti, pensando sempre che al di fuori dei nostri confini sia una sorta di Eden virtuoso.

Ma, al di là di queste annotazioni, la principale caratteristica italiana – e qui torniamo anche ai recenti fatti di vita reggina – è proprio quella del disfattismo populista, inteso come attitudine a sfasciare tutto con troppa facilità. Siamo abituati a salutare sempre l’uomo in auge in preda a facili infatuazioni, salvo poi voltargli e pugnalarlo alle spalle alla prima occasione. La volubilità della nostra opinione pubblica è, di certo, una peculiarità del Bel paese! Perché ?

Questa chiosa ci introduce ad un tema molto delicato, che è quello della relazione che gli italiani hanno, ed hanno avuto da sempre, con la propria classe dirigente. Volendo riflettere sul nostro passato potremmo dire che è storia antica, purtroppo, l’incapacità dei partiti (sia di governo che d’opposizione) di dare risposte efficaci ai problemi più gravi che tormentano il paese, perché è difficile o impossibile da parte del ceto politico a mettere in azione le soluzioni che, a parole, tutti gli scontenti ritengono indispensabili e fattibili, forse perché “siamo il paese in cui ognuno bada unicamente al “suo particolare”, come diceva Guicciardini). Questo fenomeno, oggettivamente penalizzante per ogni politico, ha creato una cultura diffusa che riconosce, dopo ogni elezioni all’uomo nato da una messa di voti, poca affidabilità o di peggio, con la pericolosa tendenza, di converso, ad assegnare facili credenziali a chi non fa altro che inneggiare al disfattismo.

L’ultimo esempio è ovviamente quello di Grillo.

Rispetto ai problemi caratteristici della nostra politica, dalla metà degli anni Novanta si è verificata la novità dell’eventuale alternanza al potere, con l’ eventualità di accertare eventuali responsabilità politiche: chi governa prende delle decisioni, di cui risponde; chi sta all’opposizione critica ma non propone mai soluzioni alternative ma solo e solo disapprovazione. Ma perché le cose non funzionano, perché, quantunque la messa in disparte del “sistema bloccato” che teneva la DC e i suoi micro-alleati costantemente al potere, ancora non è migliorato il rapporto che gli italiani hanno con la politica e con chi li governa?

Cosa non ha funzionato nel bipolarismo nostrano?

In primo luogo chi governa non ha la possibilità di farlo realmente, perché non ha la capacità deliberativa che ciò richiederebbe.  Non solo per problemi tecnici, ma pure per l’eccessiva frammentazione del quadro politico nelle stesse maggioranze, con l’insistenza di troppi protagonisti dotati di potere di veto. In secondo luogo, dopo una prima stagione di rinnovamento all’esordio del bipolarismo, la classe politica è ritornata a fossilizzarsi, specialmente a sinistra e come sta confermando in modo imbarazzante lo ‘statu nascendi’ del nuovo Partito democratico di Renzi!!. Infine il bipolarismo ha coinciso, non solo con una serie di iniziative politiche volte a ridefinire gli schieramenti in campo, ma anche con una tendenza alla delegittimazione degli avversari alimentata solo da una costante rissosità verbale che, alle fine, impedisce oneste assunzioni di responsabilità sul versante delle riforme, dal federalismo al mercato del lavoro (per non dire della legge elettorale), di cui il paese avrebbe bisogno come l’aria.

E così il Grillo di turno diventa un fenomeno mediatico e politico e di colpo acquisisce un consenso, reale o potenziale, che dovrebbe inquietare chi in Italia ancora crede nella democrazia.

 (PepGiann)

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