di Leo Iiriti – Tagliare!! Tagliare!! Queste sono le parole più diffuse egli ultimi tempi. Ma cosa significa tagliare? E con quali obiettivi? Tagliare per poi investire e rilanciare la spesa e la produttività? Oppure tagliare tanto per tagliare, perché i parametri europei così impongono, senza un progetto e un obiettivo ben preciso? E soprattutto sarebbe interessante capire se questi tagli, in questo momento, servano a tutelare il nostro Stato, oppure quello europeo.
L’Unione Europea è una entità territoriale, senza un progetto politico chiaro ed identificativo, composta da ideologie, culture, concezioni economiche differenti, unita sotto il simbolo dell’euro. Ma per fare una moneta prima bisogna creare uno Stato. Oggi l’Italia si trova in una situazione di confine, fortemente ambigua, perché deve rispettare rigide regole economiche imposte dall’Unione Europea, che uno Stato non è, e che ha al suo interno, come stato modello di riferimento, la Germania.
Quindi la Germania è il cosiddetto stato benchmark utile a stabilire, soprattutto, le regole di una corretta politica economica. Il problema è che l’Italia, a differenza della Germania, ha una concezione differente del ruolo dello Stato, sia nell’economia che nella società. Determinante è il ruolo della spesa pubblica, il cui rilancio viene valutato in maniera negativa dall’Unione Europea, e da alcuni politici ed economisti. Per altri soggetti viene considerata uno strumento fondamentale in grado di generare sviluppo per l’Italia. Il nostro paese, subito dopo la seconda guerra mondiale, ha incentrato la sua politica economica sull’impiego della spesa pubblica, promuovendo gli investimenti per creare crescita e occupazione annullando le barriere della disparità sociale.
Quindi l’intervento dello Stato nell’economia diventa un fattore determinante, attraverso il rapporto tra impresa pubblica e impresa privata che ha fatto grande il nostro paese, avendo nell’IRI il suo motore trainante. Solo per citare alcuni esempi di quel progetto, vi sono Eni e Finmeccanica, che tutt’oggi giocano un ruolo strategico a livello internazionale per il nostro paese. Quindi la spesa pubblica riusciva a garantire un livello di stabilità, grazie ad una visione ed una progettualità sia politica che economica, attraverso una logica di intervento più capillare al sud rispetto al nord. Il nord con una capacità industriale superiore ed un sud povero, abbandonato alle sue contraddizioni.
Al nord molte piccole-medie imprese, gravitando anche nella sfera dell’IRI, sono riuscite a raggiungere ottimi livelli di efficienza, conquistando il mercato sia interno che estero (quest’ultimo grazie anche ad una politica di svalutazione della lira). Al sud invece era l’impiego pubblico che garantiva un buon livello di equità sociale sostenendo i consumi.
Vi era un flusso monetario circolante in grado di garantire i livelli di occupazione, con imprese pronte ad investire e ad assumere. Anche gli enti pubblici con i loro investimenti diedero opportunità di crescita ai territori nei quali operavano, più poveri erano i centri sotto il profilo della logica di impresa, maggiore doveva essere l’intervento dello stato per garantire stabilità sociale. Quindi lo Stato attraverso il pubblico impiego, garantiva il livello di spesa per dare stabilità al paese.
Sprechi ce ne sono stati, investimenti che non hanno portato al raggiungimento di determinati obiettivi anche, però i problemi che oggi si verificano non sono frutto di un livello di indebitamento elevato raggiunto nelle epoche precedenti dai diversi governi della Prima Repubblica, come si dice in diversi contesti. Furono invece alcune logiche politiche sbagliate, succedutesi all’inizio degli anni ’90, attraverso una serie di privatizzazioni che avrebbero dovuto cancellare sprechi e inefficienze, a non promuovere una rimodulazione strategica del nostro paese. I problemi che oggi dobbiamo affrontare sono diversi.
Puntare sul rilancio della spesa pubblica efficiente potrà servire a mettere in moto un circuito in grado di riportare benessere e fiducia nel nostro paese. Solo una politica di investimenti dello Stato darà in questo preciso momento storico un nuovo volto al nostro paese, restituendogli il prestigio che merita. Senza fare accademia, e avendo il coraggio di guardare in faccia la realtà, bisogna ristabilire le logiche di potere nella zona euro, dichiarando apertamente che l’Italia, come tanti paesi, non è in grado di affrontare questa crisi con l’arma dell’austerity che nulla produce se non l’aumento del suo debito pubblico.
Un Paese che ha un livello di crescita zero, non può pagare interessi sui titoli di stato del 4% o del 2% (percentuale raggiunta negli ultimi giorni). Bisognerebbe riflettere su questo aspetto: se un Stato non cresce, come paga gli interessi sui titoli? I parametri di Maastricht devono essere rinegoziati, in quanto insostenibili, e attraverso una nuova programmazione, rilanciando la fiducia e la voglia di credere che ci possa essere un futuro per le nuove generazioni, perché solo questo potrà, prima salvare l’Italia, e successivamente, dare una logica al futuro ruolo dell’Europa.