Calcio Giovanile: sono sempre i diritti dei bambini ad essere prevaricati

calcio“Tira…marca…passa…fai gol…buttalo…arbitro sei un cretino…io non ti porto per fare panchina o giocare 5 minuti”.

“Il tuo mister non capisce niente… Andrea deve fare il centrocampista… Tu devi fare l’attaccante… Non gli devi passare la palla, devi tirare in porta e fare gol altrimenti, alla fine, lui si prenderà tutti i meriti”.

“Papà, il mister non vuole che vieni nello spogliatoio quando dobbiamo giocare, devi aspettare fuori. Vuole che io impari a fare la doccia da solo e vestirmi da solo per cominciare ad essere indipendente”.

Questo e tanto altro è il “frame” di riferimento del pianeta giovanile oggi, una cornice che racchiude un mondo complesso caratterizzato da una difficile e problematica relazione tra genitori, bambini e istruttori.

Vorrei analizzare tale realtà partendo da alcuni aneddoti, fatti realmente accaduti di cui ne sono stato testimone diretto grazie alla mia lunga attività come Istruttore del settore giovanile della Reggina Calcio. Primo incontro attività Primi calci (bambini 6 anni): Presentazione: “Io mi chiamo Paolo, mi piace giocare attaccante”.” Perché?” “ Mi piace fare tanti gol!” “ Io mi chiamo Francesco, mi piace giocare portiere”. “Perché?” “ Perché mio padre mi ha detto così, lui giocava in porta e mi potrebbe allenare”. “Io mi chiamo Giuseppe, mi piace giocare centrocampista centrale”. “Oh…ruolo insolito per un bambino!” “Perché vuoi giocare centrocampista centrale?” “ Perché mia mamma mi ha detto che è il ruolo più importante, i giornalisti parlano sempre di lui”. Secondo aneddoto: genitori convinti che il loro figlio di 9 anni fosse un campione, tentano in tutti i modi di far fare un provino al figlio in una squadra professionistica e …decidono di trasferirsi tutta la famiglia da una città all’altra con problemi non indifferenti. Il bambino comincia a manifestare dei tic nervosi di natura psicologica dovuti a difficoltà di ambientamento. Terzo aneddoto: genitore in grosse difficoltà economiche che, per seguire il figlio in un torneo fuori regione, chiede un prestito per potersi pagare i 3 giorni di permanenza fuori. Quarto aneddoto: Genitore che sborsa decine di migliaia di euro a fantomatici Procuratori sportivi che devono garantire provini importanti al proprio campione”. Quinto aneddoto: genitore che non vuole mandare il proprio figlio alla scuola calcio perché non è sufficientemente bravo oppure perché la Scuola calcio del figlio fa giocare tutti senza essere interessata al risultato. Sesto aneddoto: un giorno a Latina (21.12.2008) un genitore ha estratto la pistola per minacciare i tifosi avversari perché l’arbitro aveva fischiato un rigore contro la squadra del figlio (cronaca). Settimo ed ultimo aneddoto, quest’ultimo davvero emblematico: pomeriggio primaverile al S. Agata, genitore accompagna il figlio di 7 anni e prende posto sugli spalti per seguire l’allenamento. Dopo una decina di minuti, i bambini entrano in campo e cominciano un gioco introduttivo molto divertente: Ball Handling (palleggi con le mani). Ad un certo punto sentiamo urlare e con fare minaccioso il papà di quel bambino entra in campo e si prende il ragazzo perché, a suo dire, l’aveva portato per giocare a calcio non a pallavolo. Potrei continuare all’infinito. Chi leggerà si porrà la domanda:”…ma è mai possibile che si possa verificare tutto questo?” Ebbene si! Questa è la realtà sportiva italiana dei nostri bambini. E la Federazione, ah…la Federazione! Presieduta nella sua attività giovanile e scolastica da ex star del calcio che niente o quasi niente hanno a che fare con un mondo così sensibile (personalmente confido nella bontà del lavoro che sta intraprendendo Gianni Rivera). Personalità di indubbio valore umano che però accettano norme contorte a loro sconosciute, approvate da altri. Comunicato ufficiale N. 1 del Settore Giovanile e Scolastico, per chi non lo sapesse, alla premessa elenca i Principi fondamentali a cui si deve ispirare l’attività di base, tutta una serie di diritti del bambino (divertirsi, fare sport, misurarsi con altri bambini che abbiano le sue stesse possibilità di successo, di partecipare a competizioni adeguate alla sua età, con pari età, ecc.).

Lo stesso fa riferimento alla Carta dei diritti UEFA: una sorta di decalogo dei diritti dei bambini e alla carta del Grassroots UEFA (attività appropriata all’età). Tali documenti sono la Bibbia dell’attività di Base (6-12 anni). Alla pagina 35, lo stesso, in barba a quanto contenuto nei principi fondamentali e nelle diverse Carte, impone alle società professionistiche di svolgere l’attività di Base contro le società dilettantistiche, utilizzando bambini più piccoli di un anno, con grossi rischi fisici per quest’ultimi, non garantendo, quindi, i diritti di cui sopra. La domanda che sorge spontanea è: “ma un bambino di 8 anni che gioca nella Juve, biologicamente, è diverso di un suo coetaneo che gioca nella squadra di quartiere?”. Però la Federazione dà la possibilità alle società professionistiche (la conferma della bestialità) di richiedere la deroga a tale norma. Bene! Le società dilettantistiche, irriguardosi delle finalità dell’attività di Base, convinti che l’unico modo per attirare l’attenzione dei genitori è quello della vittoria (anche se poi perdono lo stesso) si riuniscono come i “carbonari” e stilano una lettera minacciando il ritiro da tutti i campionati giovanili se tale deroga non venisse ritirata. La Federazione, tramite il Comitato Regionale Calabro, di fronte a tale ricatto, invece di sensibilizzare le parti in causa sulla delicatezza dell’argomento, chiede alla società professionistica di ritirare la richiesta di deroga. Ma i diritti dei bambini chi li tutela? “Ai posteri l’ardua sentenza”. Della serie…succede anche questo! Ma siamo solo all’inizio, andiamo con ordine. Quando eravamo bambini, grazie alla bravura e alla lungimiranza dei nostri Ingegneri e Architetti del tempo, avevamo spazi immensi a disposizione: cortili e piazze formidabili per scaricare le energie in esubero attraverso il gioco. Si cominciava alle 8 di mattina e si terminava alle 10 di sera.

Oggi, purtroppo, non è più così! Gli spazi non esistono, bisogna mandare i nostri figli alle Scuole calcio, Scuole di Pallavolo, Scuole di Basket, Scuole di atletica leggera, ecc. Realtà che, tranne poche eccezioni, non sono altro che centri di businnes, più interessati alla retta mensile che alla crescita equilibrata dei bambini.

Il bambino arriva in esse tramite i compagni di scuola, gli amici, con loro inizia un gioco fatto di norme e regole. Un gioco che permette di stare insieme, che aiuta i bambini ad impegnarsi, a cercare di migliorarsi e mettersi costantemente alla prova, a stringere rapporti sociali, a comprendere l’importanza del sacrificio e dell’umiltà, ad assumersi le responsabilità, diventare membro di un gruppo importante. Un’attività ludica che permette di raggiungere un’educazione sportiva globale: rispetto delle regole, degli impegni, dei propri indumenti, dell’igiene personale, legarsi le scarpe, ecc. Insomma, inizia una passione, lo stimolo che spinge ad essere costanti in ciò che si fa, che li accompagna senza flessioni e che regala soddisfazioni degne di nota, indelebili ricordi nella loro memoria. Sua maestà il Calcio:il formidabile strumento educativo e formativo che aiuta al superamento dell’egocentrismo e permette la crescita educativa , disciplinare e comportamentale del bambino. Inizia l’avventura! Inizia lo scontro tra Genitore ed Istruttore! Il genitore comincia ad identificarsi sempre di più nel ruolo del figlio; inizia col portargli la borsa, cerca, involontariamente, di scaricare le proprie frustrazioni giovanili, è a caccia di rivincite attraverso il figlio. Inizia a fare pressioni sul bambino trasferendogli una competitività esasperata, il credo che bisogna vincere a tutti i costi come unico modo per diventare qualcuno. Vedere l’immagine del figlio su uno specchio “dipinto” di vittorie e affermazioni personali.

I comportamenti dei genitori sono uguali in tutti, dapprima cercano di farsi amici gli istruttori affinché abbiano un occhio di riguardo verso il loro figlio, successivamente, non riuscendo nell’intento, cominciano a “martellarli” psicologicamente: “il tuo Mister non capisce niente…perché la maglia N. 7 e non la N. 10”. Genitori che cominciano a dare suggerimenti tecnici e tattici da bordo campo, che si appendono alla rete insultando gli avversari e l’arbitro. Molto spesso se non sono i padri a farlo sono le mamme, altra nota dolente. Protestano se i loro figli non giocano il primo tempo, non sono considerati titolari, in dei campionati dove non esiste il titolare e la riserva, devono giocare tutti.

Altri, allenano il proprio figlio da soli quando questi non ha allenamento. Insomma genitori che diventano un potenziale “virus” psicologico che mina il sano sviluppo del ragazzo. Fortunatamente non sono tutti così! Veniamo all’Istruttore: questi, siccome il bambino rappresenta una quota economica importante del suo rimborso mensile, tende ad assecondarlo in tutto e per tutto. Anzi, cerca di farsi amico il genitore per non andare incontro a critiche. Come, a mio avviso, dovrebbero comportarsi i genitori e gli istruttori e cosa, l’aspetto più importante, vorrebbe realmente un bambino? Partendo dal presupposto che il rapporto tra genitore e Istruttore influenza molto l’atteggiamento e il comportamento del bambino nei confronti del calcio, un dialogo costruttivo tra queste due importanti “agenzie educative” improntato sui bisogni del minore, rappresenta un ottimo viatico verso uno sviluppo equilibrato della personalità dello stesso. I genitori per fare crescere i propri figli con un alto tasso di autostima devono dargli riscontri positivi, sempre! Devono avere fiducia delle qualità del figlio, insegnandogli a tollerare le frustrazioni, facendogli sperimentare le cose belle, le esperienze negative e le delusioni. Rendendoli consapevoli che nella vita le cose non vanno sempre come vorremmo e trovare da soli le strategie per venirne a capo. Un genitore equilibrato dovrebbe avere chiare le aspettative sul figlio, quali sono le sue abilità, senza voli pindarici. Vederlo impegnato ad esprimere il meglio di sé, indipendentemente dal risultato, in qualsiasi partita della vita che, rimane solo la sua. La domanda che si dovrebbe porre è: “mio figlio si diverte nel calcio?”. Stimolarlo all’autocoscienza su ciò che ha fatto di buono anche se la squadra ha perso. Di ciò che ha imparato dagli errori commessi. Aiutare il proprio figlio a sviluppare una sua aspettativa personale, accettando successi e fallimenti che derivano dal fare sport. Aiutandolo ad esprimere ciò che sente. Capire che i bambini non giocano mai “contro” ma con i bambini delle altre squadre. Lasciarli sognare, divertirsi, rincorrere spensieratamente un pallone e fare gol, almeno una volta nella loro vita, per provare l’ebbrezza del momento.

Importantissimo anche il ruolo dell’Istruttore che si deve caratterizzare per autorevolezza, preparazione, cultura, capacità comunicative e di ascolto. Che non si deve sentire in soggezione davanti alle critiche, anzi devono stimolarlo a dare sempre il meglio di sé, senza temerle. Dovrà “affrontare” il genitore in modo informale ma professionale, facendogli capire che i bambini sono tutti uguali e che la sua funzione è importante come quella del genitore, poiché lavorano in sinergia e non in contrasto, al fine di favorire la crescita e lo sviluppo del ragazzo. L’Istruttore non deve vedere il genitore come un nemico da abbattere ma, deve fargli capire che anche lui può essere importante per l’attività sportiva del figlio, magari coinvolgendolo nelle trasferte, anche portando la macchina. Spiegare bene che lo sport non è da intralcio alla scuola ma, è anche grazie allo sport che si migliorano le capacità di pensiero e si facilità il passaggio dalla intelligenza concreta a quella astratta con forti ricadute positive sulle prestazioni scolastiche. Insomma diventa utile parlare con i genitori per proporre una collaborazione, discutere dei problemi caratteriali del figlio, fisici, scolastici, concomitanza di orari, studio, ecc. L’Istruttore deve essere una figura in grado di insegnare, valutare, comprendere i problemi legati alla psicologia dello sviluppo. Ma i bambini cosa vogliono davvero dagli adulti, dai propri genitori, dagli istruttori? I bambini non vogliono vedere i propri genitori arrampicarsi alla rete, urlare contro gli avversari, litigare con gli altri genitori, sentire parlare male del loro Mister, che si intromettano nelle questioni legate alla squadra, nelle scelte dell’Istruttore. I bambini non vogliono prediche su quello che hanno fatto o dovevano fare, su quello che hanno sbagliato ma, vogliono essere apprezzati per quello che hanno fatto bene. Vogliono essere invitati a vivere bene l’esperienza sportiva e non sentirsi sotto pressione, vogliono essere incoraggiati a dare di più per guadagnarsi un posto in squadra, per imparare a sacrificarsi e sapere accettare la panchina. Non vogliono provare la paura di deludere il proprio papà, la propria mamma, perché sanno che la cosa più importante per loro è vedere il proprio figlio divertirsi. Perché, dopotutto, per fare felice un bambino basta poco: serve un pallone e un istruttore che si ricorda di essere stato bambino.

Alla luce di quanto ho esposto, qual è allora la ricetta che propongo?

Ritengo utili periodici incontri formativi rivolti ai genitori, bambini, istruttori, dirigenti su: dinamiche di gruppo, igiene e prevenzione, doping, principi di sana alimentazione. Farei firmare un contratto sportivo-educativo-formativo ai genitori, ai bambini, agli istruttori, alle società che si impegnano a rispettarlo in maniera chiara ed esplicita. Ma, soprattutto, proporrei argomenti di educazione allo sport da trattare in ambito scolastico, una sorta di nuovo triangolo educativo – formativo che veda impegnati a livello paritario scuola, famiglia, società sportive. Urge una nuova pedagogia dello sport che porta avanti nuovi valori, uno sport formativo, proprio perché permette di convivere più serenamente con le dimensioni conflittuali della nostra vita. Lo sport – proprio perché consente di fare esperienze diverse – è educativo e necessita di essere pedagogicamente monitorato, affinché le sue valenze positive e formative non siano alterate ma, semmai, evidenziate e potenziate, specialmente quando si ha a che fare con bambini e adolescenti. Serve un nuovo traguardo educativo. Caro papà, cara mamma, caro Mister vorrei solo che dopo aver letto questo articolo, possiate porvi dei dubbi e capire cosa non va nei vostri comportamenti in ambito sportivo.

Come sempre, con affetto, Mister Condemi.

Dott. Giuseppe CONDEMI (Pedagogista sportivo, già docente di Psicopedagogia ai corsi per Allenatore di base Settore Tecnico FIGC-AIAC Calabria, già Istruttore giovanile Reggina Calcio)

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