Radici di albero, insidie del manto stradale

radici08\12\2013 – Nella recentissima pronuncia n. 24744 /13 la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del risarcimento danni nei confronti di un motociclista che, a causa della presenza di radici di un albero sul margine della strada, è caduto rovinosamente dal mezzo procurandosi lesioni. La Cassazione, nel valutare il caso, ha rigettato il ricorso proposto dal motociclista, ai sensi dell’art. 2051 C.C., “Danno cagionato da cosa in custodia”, secondo cui “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

In particolare, gli Ermellini hanno specificato che, sebbene l’ipotesi prevista dal predetto articolo integri un’ipotesi di responsabilità oggettiva, per la quale, quindi, ai fini di una sentenza di condanna, non rileva il comportamento del custode, ma è sufficiente che il soggetto danneggiato dimostri l’esistenza del nesso causale tra res e danno, che ne è derivato, ossia che “l’evento si è prodotto come conseguenza della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa”, il custode convenuto in giudizio, in specie l’Ente proprietario della strada, per liberarsi da tale forma di responsabilità, non deve provare di aver adempiuto i cd. “obblighi custodiali”, ma deve semplicemente dimostrare l’esistenza del “caso fortuito”, ossia di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra res e danno. Difatti, la responsabilità della Pubblica Amministrazione per cose in custodia si configura solo quando l’ostacolo presente sulla carreggiata sia stato la causa “determinante” del sinistro stradale, nonostante il conducente abbia fatto di tutto per evitarlo: ne consegue, quindi, che la responsabilità risarcitoria dell’Ente Pubblico è esclusa, se dimostra la “visibilità” e, quindi, la “prevedibilità” del pericolo, e, di conseguenza, l’esistenza di un elemento interruttivo del rapporto di causalità; dimostrando ciò, ne consegue, a contrario, che l’incidente è stato cagionato dalla guida negligente del danneggiato, che, se fosse stato più attento e prudente, avrebbe potuto evitare le insidie del manto stradale. Orbene, posto che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, il “caso fortuito” consiste in un “fatto estraneo alla sfera di signoria del custode, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità” (tra le altre, Sent. Cassazione n. 4244/13), che ha costituito la vera causa del danno, gli Ermellini, nella fattispecie de quo, hanno ravvisato il “caso fortuito” nel c.d. “fatto del terzo”, nel cui ambito è ricompreso anche il fatto dello stesso danneggiato: in particolare, secondo i Giudici di legittimità, il “fatto del danneggiato” si è concretizzato, in specie, nella violazione, da parte del motociclista, dell’art. art. 143, comma I°, del Codice della Strada, secondo cui “I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimità del margine destro della medesima, anche quando la strada è libera”. Secondo la Suprema Corte, dunque, “Se il motociclista avesse circolato a moderata velocità e sul margine destro della sua carreggiata avrebbe sicuramente avvistato i modesti rigonfiamenti [del manto stradale, causati dalle radici] ed avrebbe evitato ogni conseguenza dannosa”; ne consegue, quindi, che, a giudizio insindacabile della Suprema Corte, la caduta del motociclista non è stata cagionata dalle radici nell’asfalto, ma, in via esclusiva, dalla sua scorretta guida, che non ha lui consentito di avvistare per tempo i rigonfiamenti del manto stradale ed evitarli.

Avv. Antonella Rigolino

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