Occultata dietro lo slogan della «ricerca dei furbetti», il governo Letta ha appena presentato un’imposta patrimoniale truccata.
L’Isee, il «riccometro» che ora ha molta più importanza nella vita delle famiglie italiane e dalla quale scaturiscono i servizi che lo Stato dà in cambio dei tributi che gli sono versati, sostituisce la decifrazione di “agiatezza” , cosi rendendo possibile classificare come benestante anche chi percepisce un reddito miserevole.
Diminuisce difatti la platea di chi ha diritto – ad esempio – all’assistenza sanitaria gratuita, a mandare i bambini negli asili nido pubblici, a frequentare l’università corrispondendo rette universitarie moderate, ecc.. Ma a pagarne le spese, alla faccia dell’equità sventolata dal governo, non sono solo i “furbetti”, e di certo le famiglie a reddito medio-alto, già estromesse da tempo da ogni provvidenza. Il prezzo si scarica solo sulla classe media e media-piccola. Se il traguardo del «riccometro» fosse stato solo quello di snidare i parassiti, ossia quelli che esibiscono dichiarazioni ingannatrici per non pagare l’accessibilità ai servizi pubblici, sarebbe stata sufficiente limitare lo spazio dell’autodichiarazione e assegnare all’Agenzia delle Entrate e all’Inps il conteggio del reddito complessivo.
Tuttavia la nuova Isee fa abbondantemente di più. Per permettere allo Stato di tagliare le prestazioni assistenziali addirittura mentre i cittadini italiani si stanno riducendo in miseria, riduce la soglia al di sotto della quale si ha diritto a ricevere quelle prestazioni, portandola molto più giù di quanto la crisi abbia diminuito lo stile di vita degli italiani. Lo fa nell’unica maniera pensabile: dando un carico più grande, nel conteggio della ricchezza, al patrimonio di cui dispongono i nuclei familiari. Sono così colpiti ulteriormente i possessori di appartamenti. Il valore dell’immobile è valutato non più secondo i parametri dell’Ici, ma in base a quelli dell’Imu: basta questo per ampliare del 60% il valore dell’immobile, e pazienza se l’Imu, con i criteri di calcolo vessatori che la caratterizzano, era stata introdotta dall’allora governo Monti come imposta temporanea. Quanto al patrimonio mobiliare, quello che le famiglie possiedono in conti correnti, titoli e azioni, la penalizzazione avviene diminuendo la franchigia da 15.493 euro a solamente 6.000 €.
Le detrazioni annunciate (2.000 euro per ogni membro oltre il primo, sino a un massimo di 10mila euro, e 1.000 euro per ogni figlio successivo al secondo) nella larghissima parte dei casi non equilibrano assolutamente il drastico taglio della franchigia. La conseguenza – assolutamente voluta – è quella di far presentare agiato anche chi ha un introito da fame, ma dispone di un appartamento e un conto corrente, magari perché ricevuti in lascito da padre e madre che hanno vissuto stringendo la cinghia. E che adesso si dovrà pagare, traendo a quel patrimonio, per avere quei servizi e quell’assistenza che le tasse versate non bastano più a garantirgli. Il caso riportato ieri dal Corriere della Sera è emblematico – coppia di pensionati, lei invalida totale, sussidio da 1.200 euro al mese, esclusi dalle prestazioni per le fasce bisognose perché i loro risparmi sono versati in un conto corrente – è uno dei tanti. Se non si muta, nel (neanche troppo) lungo periodo la vicenda può finire in un sola maniera: con la completa erosione delle riserve e degli assi ereditari del ceto medio e piccolo, sacrificati sull’altare del finanziamento dell’apparato statale.