Esercizio della libertà di culto da parte dei detenuti

26\10\2013 – In tema di diritti dei detenuti, la Corte di Cassazione è, di recente, intervenuta, in quanto investita del ricorso posto al Suo On.le vaglio da un detenuto, il quale ha ravvisato la lesione dei diritti umani, nell’impossibilità di professare il proprio culto religioso all’interno dell’istituto penitenziario: in specie, il detenuto, di religione buddista, ristretto in carcere ai sensi dell’art 41 bis Ord. Pen., lamentava di non poter consumare pasti esclusivamente vegetariani, così come, invece, richiede il suo credo religioso, e di non essere autorizzato a ricevere saltuariamente la visita del proprio maestro zen.carcere Il detenuto, rilevando in tali dinieghi la violazione dei diritti umani circa l’esercizio della cd. “libertà di culto”, ha, così, proposto reclamo al Tribunale di Sorveglianza, il quale, pronunciandosi con Ordinanza, ha “consigliato” alla Direzione della Casa Circondariale la sostituzione della ditta forniutrice dei pasti all’interno del carcere, al fine di garantire i pasti vegetariani al detenuto ricorrente, rinviando al Ministero della Giustizia l’eventuale decisione circa la possibilità di sporadiche visite da parte del maestro zen. Investita della particolare fattispecie la Suprema Corte, con la Sentenza n. 41474/13, la Cassazione ha annullato senza rinvio l’Ordinanza de quo, statuendo con fermezza che, poichè “L’attuale sistema di tutela giurisdizionale dei detenuti nei confronti dei provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria non risulta disciplinato compiutamente dalla Legge e in assenza di un efficace intervento legislativo”, è precipuo compito del Giudice di Sorveglianza, non “consigliare”, ma “impartire” tutte le disposizioni atte a rimuovere eventuali violazioni dei diritti dei detenuti, dovendo emettere, il Magistrato di Sorveglianza, provvedimenti di “natura giurisdizionale”, e non, limitarsi semplicemente ad elargire “consigli”. Tale pronuncia, quindi, pone l’attenzione sulle problematiche della realtà carceraria ed, in particolare, sui diritti dei detenuti, e, sotto tale profilo, pur mantenendo ferme tutte le disposizioni restrittive proprie del cd. “carcere duro”, afferma che, anche in seno a tale particolare trattamento carcerario, devono essere, in ogni caso, rispettati i princìpi ed i valori espressi nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Uomo e nella nostra Costituzione, nel pieno rispetto della “persona umana”, seppure detenuta, e seppure detenuta in regime di “carcere duro”: in particolare, la Sentenza de quo, richiama quanto espresso nell’art. 27, comma III°, della Costituzione, secondo cui “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, nonchè gli altri diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti e garantiti, quali, il diritto alla salute, il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso, il diritto ad un’alimentazione sana, ect…, e questo perchè, si legge in Sentenza, lo status di detenuto “non può comportare una totale ed assoluta privazione della libertà della persona”.

Avv. Antonella Rigolino

 

 

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