14\09\2013 – Con la Sentenza n. 42501/12 la Suprema Corte, VI° Sezione Penale, ha deciso su un ricorso sottoposto al Suo On.le vaglio in materia di violazioni al Codice della Strada: ad essere “protagonista” della vicenda, però, non è stato un Utende della strada, bensì un Pubblico Ufficiale, specificamente una Vigilessa, accusata in I° grado di aver esercitato “abusivamente” le sue funzioni, nel decidere di multare solamente “alcune” delle autovetture parcheggiate in divieto di sosta e non, invece, tutte. Dinanzi al Tribunale di I° grado è stata, infatti, condannata per aver commesso il reato di abuso d’ufficio ex art. 323 del Codice Penale, secondo cui “Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni…” Secondo il Tribunale Collegiale, infatti, la Vigilessa, nel multare solamente “alcune” delle automobili, e non, invece, tutte quelle parcheggiate in divieto di sosta, avrebbe soddisfatto, nell’esercizio delle sue funzioni, un interesse proprio o, comunque, l’interesse di un suo prossimo congiunto, e tale condotta avrebbe, quindi, procurato un vantaggio patrimoniale agli automobilisti non multati, presumibilmente amici, parenti o conoscenti della Vigilessa, a scapito, invece, degli automobilisti multati, presumibilmente persone sconosciute alla stessa. La difesa dell’imputata, per l’intero giudizio, ha posto l’accento sull’impossibilità di multare tutte le autovetture parcheggiate in divieto di sosta semplicemente per questioni di tempo, e non per motivi di “favoritismo” ad alcuno. In sede di Appello, sebbene la sentenza sia stata anche qui di condanna, il reato ravvisato dalla Corte non è stato, però, l’abuso d’ufficio, poichè la Corte di II° grado ha ritenuto che non fossero state addotte “prove” sufficienti per dimostrare l’interesse personale del Pubblico Ufficiale nella “scelta” delle autovetture da multare; di contro, ha ritenuto, però, che fosse stata raggiunta la “piena” prova circa il suo “rifiuto” di compiere atti del proprio ufficio in relazione ad “alcune” autovetture, e, pertanto, ha condannato la Vigilessa per il reato di “Rifiuto di atti d’ufficio”, p. e p. dall’art. 328 C.p., a norma del quale “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni…”. Di diverso avviso è stato, però, il decisum di legittimità degli Ermellini, i quali, premettendo che, al fine di pronunciare una sentenza di condanna nei confronti della Vigilessa occorreva verificare se l’attività sanzionatoria dalla stessa non espletata nei confronti di “alcuni” automobilisti possedesse le caratteristiche richieste dall’art. 328 C.p., ossia il carattere “dovuto” dell’atto e la sua “indifferibilità”, hanno puntualizzato che le multe non sono atti indilazionabili, ossia non sono atti “dovuti” e da compiere “senza ritardo”, così come disposto dall’art. 328 C.p., bensì possono essere ritenuti atti dilazionabili: secondo gli Ermellini, infatti, l’attività sanzionatoria del Pubblico Ufficiale, in specie della Vigilessa, non è un’attività con carattere “prioritario”, nè “indifferibile”, e, pertanto, su tale assunto, con la predetta Sentenza n. 42501/12 hanno assolto la Vigilessa dal reato contestatole.
Avv. Antonella Rigolino