Quasi 32mila imprese e 90mila posti di lavoro perduti. E’ questo il bilancio del commercio al dettaglio a 18 mesi dall’entrata in vigore della deregulation totale degli orari e delle aperture delle attività commerciali introdotta dal decreto Salva-Italia. Lo ha denunciato oggi una delegazione di Confesercenti, formata dal vice-presidente vicario Massimo Vivoli, dal segretario generale Mauro Bussoni e dal responsabile ufficio Affari Istituzionali Giuseppe Fortunato, ascoltata oggi in audizione presso la X Commissione (Commercio e attività produttive) della Camera.
“Confesercenti si è sempre impegnata in prima linea per evitare la deregulation totale delle aperture, sostenendo invece l’opportunità di una disciplina degli orari equilibrata, tale da consentire ai consumatori di soddisfare le proprie esigenze di acquisto di beni e agli operatori commerciali di poter contare su tempi di riposo adeguati per sé e per i propri dipendenti e collaboratori familiari. Con il decreto legge 201 del 2011, comunemente detto Salva-Italia, è stato improvvisamente imposto a tutto il settore del commercio un regime di totale deregulation degli orari delle attività commerciali, rendendo possibile dal primo gennaio 2012 l’apertura 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno, domeniche e festività incluse. Ha infatti favorito la concentrazione dei consumi nei weekend, avvantaggiando da una parte la grande distribuzione ma dall’altra contribuendo all’aumento di erosione delle quote di mercato piccoli esercizi. Questi, infatti, non sono nelle condizioni di poter sostenere l’aggravio di costi, diretto ed indiretto, in particolare a valere sul fattore lavoro, derivante dalle aperture domenicali. L’effetto sulle piccole superfici è stato devastante: tra il 2012 e i primi 6 mesi del 2013, abbiamo perduto per sempre circa 32mila imprese del commercio al dettaglio, con la conseguente scomparsa stimata di circa 90mila posti di lavoro.”
“A questo si deve aggiungere che la liberalizzazione degli orari di apertura non ha sortito gli effetti previsti dal legislatore: non ha infatti aumentato i consumi che nel 2012, primo anno di applicazione del nuovo regime, sono crollati del 4,3%, cui si aggiungerà un’ulteriore flessione del 2% nel 2013. Inoltre, l’intervento non ha – come pure era stato sostenuto – adeguato l’Italia alle normative europee: secondo le nostre rilevazioni, infatti, nessuno dei più importanti Paesi della Ue ha un regime liberalizzato quanto il nostro. Il lavoro festivo e domenicale costa di più, non produce nuova occupazione, non determina aumento dei consumi, è penalizzante per le gestioni familiari e per le PMI e distorce gli equilibri di mercato. L’effetto sulle piccole superfici è stato devastante: tra il 2012 e giugno2013, abbiamo perduto per sempre 31.483 imprese del commercio al dettaglio, di cui 10.079 nel solo comparto del commercio al dettaglio di abbigliamento e calzature.
Desertificate le città: 500.000 esercizi commerciali sfitti in tutta Italia.
Sfumati 25 miliardi di canoni e 6,2 miliardi di gettito fiscale: più dell’IMU prima casa. L’emorragia di imprese del commercio sta causando una nuova emergenza: quella degli affitti. Secondo una ricerca condotta da Anama-Confesercenti, in Italia i negozi sfitti per ‘assenza di imprese’ sono ormai 500mila per una perdita annua di 25 miliardi di euro in canoni non percepiti. In termini di gettito fiscale sfumato circa 6,2 miliardi ogni anno: una cifra superiore al gettito realizzato grazie all’IMU prima casa (circa 4 miliardi di euro) o all’aumento di un punto dell’aliquota ordinaria IVA (oltre 4 miliardi). Il nostro auspicio è che la Commissione e il Parlamento prendano atto della gravità della situazione del commercio e degli effetti esiziali – in termini di imprese e di lavoro – che l’eccesso di liberalizzazioni sta avendo su di esso. E che per questo si possa arrivare a un’urgente modifica della normativa” restituendo alle Regioni ogni competenza in materia di organizzazione dei servizi distributivi
Ufficio Stampa