Il Governo nel corso del 2012, con il Decreto Legge 95 (cd spending review) ha fissato un primo taglio nel sistema dei trasferimenti, che per il 2013 diventa addirittura 4,5 volte il taglio dell’anno scorso. A fronte di questa consistente e “spropositata” riduzione di trasferimenti, gli enti hanno cercato di risolvere il problema con l’aumento al massimo di aliquote (per imu ed addizionale irpef) e di proventi (tariffe servizio idrico e dei servizi a domanda individuale), ma non basta. Ci si è allora concentrati sul contenimento del costo dei servizi, scoprendo, che ben poco è il margine di manovra. Infatti nella nostra Regione, i comuni hanno una spesa corrente pesantemente irrigidita dal costo del personale e dai costi per il servizio idrico (Sorical), per lo smaltimento dei rifiuti (Commissario emergenza ambientale) e per l’energia elettrica. Tutti costi regolamentati da norme e regole contrattuali, quasi sempre esogene all’Ente. Si scopre allora che le entrate di quest’anno basteranno appena a coprire i suddetti costi. Dall’altro canto altrettanto impossibile sarà la previsione di bilancio anche per le Provincie.
I nostri comuni non sono quindi in grado di mantenere lo standard di servizi, ormai al minimo essenziale, per tutte le persone che vi abitano. Inoltre si corre il rischio reale di dover rivisitare le dotazioni organiche degli enti, prevedendo la mobilità e, l’eventuale, licenziamento del personale o la riduzione oraria, nel migliore dei casi. Tutto questo a rischio della tenuta del tessuto sociale locale.
Cosa fare allora?
La Politica dovrebbe occuparsi, in primo luogo, di intervenire sul Governo per fare in modo che i trasferimenti vengano, finalmente, parametrati ai costi standard, come peraltro previsto inizialmente nelle disposizioni sul federalismo fiscale, e non essere “cervelloticamente” e “ragioneristicamente” determinati, come avvenuto, con modalità che non tengono assolutamente conto delle necessità territoriali. In secondo luogo dovrebbe intervenire legislativamente, sia in sede Regionale sia in sede Statale, per consentire la rivisitazione dei contratti, e delle norme, che disciplinano il settore idrico, quello dei rifiuti e quello elettrico, i cui costi sono ormai insopportabili per eccesso di onerosità (senza peraltro che i relativi servizi funzionino).
Le Amministrazioni locali devono in primo luogo, implementare il sistema dei controlli, previsto dal decreto legge \174/2012, il cui obiettivo principe è appunto quello di monitorare i costi e la economicità ed efficienza della gestione. Se detto sistema, peraltro da sempre previsto nel Testo unico per gli enti locali, fosse stato implementato per tempo, forse ci si sarebbe accorti da subito che la spesa per energia elettrica è, in quasi tutti gli enti, esponenzialmente lievitata nell’ultimo decennio, vuoi per l’eccesso di impianti (che hanno prodotto solo un notevole inquinamento ottico) sia per il continuo passare, spesso senza alcun rispetto del codice dei contratti, di gestore in gestore, (che ha prodotto anziché risparmi, incremento di costi). In secondo luogo devono curare la riscossione delle entrate, magari ricorrendo, con opportuni interventi sui relativi regolamenti, a forme poche coattive e molto più disponibili alla problematica carenza di liquidità della nostra gente.
E proprio in tema di tributi locali e di difficoltà di riscossione dei Comuni calabresi, da sempre evidenziata dalla sezione di controllo di Corte dei Conti, non guasterebbe un intervento legislativo che, senza scandalizzarsi, preveda la possibilità di fare ricorso, ancora, alla introduzione del condono, dato che, molti comuni, non hanno approfittato della possibilità in passato offerta e non hanno consentito ai contribuenti di regolarizzare le loro posizioni, con conseguente aumento delle basi imponibili.
Enzo Cuzzola, esperto in contabilità, fiscalità attiva e passiva, degli enti pubblici.