Pagine sanguinose si aggiungono alla storia americana, e sfogliandole di anno in anno, si leggerà di un’altra tragedia sconvolgente che ha trasformato una giornata di festa in un incubo: la Maratona di Boston del 2013, arrivata alla 117esima edizione, verrà ricordata per l’assurdità del suo epilogo a causa di due ordigni esplosi vicino alla linea di traguardo: le due deflagrazioni, avvenute nei pressi di Copley Square, a 12 secondi di distanza una dall’altra, hanno trasformato il centro della città in una zona di guerra, e hanno ucciso tre persone, tra cui il piccolo Martin Richard, diventato il simbolo dell’ultimo insensato atto di violenza nella storia degli Stati Uniti (8 anni), ferite oltre 170, (si stima definitivamente il numero di 176 feriti, di cui 17 in gravi condizioni). Tra i feriti gravi c’è chi ha perso le gambe o un braccio, chi è stato colpito alla testa e chi è entrato in coma. Il primo ordigno è esploso circa dieci minuti prima delle tre del pomeriggio, quando il cronometro della maratona segnava poco più di quattro ore di corsa. Sono tantissimi i video amatoriali girati dagli spettatori e dagli stessi maratoneti, video che raccontano più di qualsiasi parola il terrore e lo sgomento dei corridori a un passo dal traguardo. La Boston Marathon è la più antica dell’era moderna e si svolge ogni anno dal lontano 1897. Assieme alle altre 5 World Marathon Majors (Londra, Chicago, Berlino, Tokyo e NYC), Boston risulta tra le più popolari, per la sua storia e per il fatto di esser considerata la “maratona delle maratone”. Il percorso si snoda fino al cuore di Boston, passando per la celebre “Heartbreak Hill”, una “collina spaccacuore” di circa 600 metri, che in prossimità del traguardo, mette a dura prova la resistenza degli atleti. L’arrivo, dopo una quarantina di chilometri, porta gli atleti nella centralissima Copley square, ( la zona presso la quale il 15 aprile 2013 appunto, si sono verificate le gravi esplosioni). L’ideatore di questa manifestazione fu John Graham, primo responsabile della squadra olimpica statunitense nel lontano 1986 ad Atene, dove trasse l’ispirazione per organizzare l’evento. La gara si svolge ogni anno da allora sempre nel terzo lunedì del mese di aprile, giorno del Patriot’s Day, festività ideata in Massachusetts per ricordare l’inizio della Guerra di Indipendenza Americana. La maratona di Boston è aperta sia ai corridori professionisti che ai dilettanti, a patto che questi ultimi abbiano preso parte a maratone ufficiali nei sei mesi precedenti stabilendo un tempo minimo che varia a seconda del sesso e dell’età. Ogni anno almeno 20mila atleti prendono parte alla gara e circa 50mila spettatori presenziano all’evento. Una corsa storica, che ha sempre saputo precorrere i tempi essendo stata la prima ad ammettere anche gli atleti diversamente abili. Fatalità, coincidenze ripugnanti, calcoli perfetti di menti assassine? Ancora non si hanno certezze circa la natura di quanto accaduto e il presidente Barack Obama al momento, ha solo potuto esprimere la sua solidarietà, promettendo aiuti sia morali che materiali per la città e i familiari delle vittime: “Non abbiamo ancora tutte le risposte, non sappiamo chi ha fatto tutto questo e perché. Ma faremo di tutto per scoprirlo… Io, Michelle e tutta l’America ci uniamo alla gente di Boston e piangiamo le sue vittime”. L’Fbi sta investigando sull’attentato di Boston come se fosse “un atto di terrorismo” ma i responsabili sono al momento ignoti e non si sa, se quanti si sono macchiati di questo “codardo atto di terrorismo” siano stranieri o “cittadini (americani) ostili”, né la ragione dell’attacco: “Andremo fino in capo al mondo” per trovare i responsabili dell’attentato alla maratona di Boston: è la promessa fatta dall’agente speciale dell’Fbi, Rick DesLauriers; “Sarà un’indagine a livello mondiale, andremo fino in campo al mondo per identificare il soggetto o i soggetti che sono responsabili per questo spregevole crimine e faremo tutto quello che è in nostro potere per portarli di fronte alla giustizia”, ha affermato l’agente, sottolineando che l’agenzia federale “non era a conoscenza di alcuna informazione di minaccia prima della maratona”. Sul web tantissime testimonianze di italiani presenti in quel tragico momento, come quella di Dafne, giovane calabrese (originaria di Lamezia Terme che lavora alla Boston University School of Medicine) che ha prestato soccorso insieme ad altri volontari, ai podisti coinvolti nella duplice esplosione: “Sono molto felice di sapere che tutti i miei amici corridori e le loro famiglie sono sani e salvi è stato orribile e sono in shock. Correre per me non sarà più lo stesso!” (lo ha scritto sul suo profilo Facebook). Questa è solo una delle innumerevoli esperienze ritrovate sul web, difficile quantificarne la mole, sia di foto, video, sfoghi e cordogli; solidarietà da tutto il mondo, da parte delle singole istituzioni, da parte dell’ Unione Europea, un abbraccio virtuale impossibile da descrivere in un articolo; perché quando viene colpita la lealtà dell’animo umano unito nello sport e nella storia delle tradizioni, simbolo della propria identità, qualsiasi pensiero appare vuoto, esattamente come il vuoto che questa vicenda porta con sé. “No more hurting people. Peace”
Annamaria Milici