Certi personaggi vorrebbero insegnarci, da qualche cattedra, come dovremmo comportarci, come essere retti, onesti, leali. E mentre vi sono state persone che hanno affrontato fino alle persecuzioni, alla fame e alla morte l’affermazione di questi valori, ve ne sono altre la cui energia si spreca alla ricerca di una persecuzione, di un comodo martirio in regime di libertà. Questi ultimi, insomma, vorrebbero essere perseguitati, anzi mostrare di essere perseguitati, perché vi sono agevoli persecuzioni oggi, dato che tutti ne parlano e non vi è pericolo e, per di più, il “martirio” si risolve anche in un buon affare. Al contrario delle altre e vere persecuzioni, in cui non resta quasi nessun amico e il pensiero della morte è il principale compagno, i presunti martiri della democrazia non devono che promuovere petizioni o sottoscrizioni, partecipare a qualche trasmissione televisiva (meglio se del servizio pubblico nazionale) per annunciare il loro dramma o esercitarsi a dimostrare le loro verità rivelate. Generalmente questi personaggi sono di sinistra o, in qualche caso, non sanno di esserlo. E in un mondo come quello della cultura, in cui tutto è in perpetuo divenire, tutto da appurare e da correggere, da definire, da elaborare, potrai leggere nella loro dottrina una ricetta infallibile che risolverebbe tutti i nostri dubbi, i nostri affanni, il nostro malessere, le nostre tristezze e perplessità. Una ricetta che altri non hanno. Potrete anche scoprire la morale, la legalità e la verità, separare la luce dalle ombre, sconfiggere inganni e ipocrisie. Vi insegneranno anche che la ‘ndrangheta si può contrastare con un annuncio, con un paio di cortei, dieci fiaccole, tre o quattro convegni e con un eccesso di retorica e di cerimonie. Questo approccio ieratico, che oggi trova nel movimento “Reggio non tace” i suoi campioni indiscussi, tende a raffigurare un’immagine di para-impegno, di pseudo-attivismo, di “professionismo” ideologico e di maniera in coincidenza di avvenimenti eclatanti, che distrae addirittura la mente di chi ha l’obiettivo del fare, molto prima del parlare. Peccato che la deliberazione meramente contemplativa di qualsiasi problema non è ha mai risolto l’origine, gli effetti e neppure la portata. Il 10 gennaio 1987, sul Corriere della Sera, un lungo articolo firmato Leonardo Sciascia dal titolo “I professionisti dell’antimafia” riportava: “.. l’antimafia come strumento di potere. […]. Prendiamo, per esempio, un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno. …”.
Convinciamoci, dunque, che l’obiettivo non è (e non può essere) l’alimentazione di una esternazione emotiva e collettiva. Non serve … Finiremmo per essere dei cattivi maestri.
Nella storia del pensiero, il cattivo maestro genera discepoli, ma li genera ambiguamente. Egli è un vero partigiano che sa dove porsi nella lotta astratta, laddove, dunque, gli uomini sono costretti alla scelta di metodo senza valutarne gli effetti e le concrete ricadute. Ogni cattivo maestro è arrabbiato con qualcuno. Ma l’ambiguità o i paradossi non possono essere sciolti se non da un punto di vista pratico. Non c’è una doppia verità come teorizzano da sempre i filosofi platonici e gli pseudo-intellettuali inquisitori: c’è sempre, al contrario, una soluzione pratica dei problemi reali. Ma nella pratica il cattivo maestro si scioglie, o meglio autodissolve la propria ambiguità e l’evento del suo apparire. Promuoviamo, invece, con azione sistematica i migliori modelli e le migliori prassi educativo-culturali. Sosteniamo i programmi di acculturamento al senso civico, prima che una cultura della legalità basata sul virtuosismo idealistico privo di conseguenze, pur se corredato di innumerevoli convegni e simposi. Serve la formazione di coscienze libere, prima che di ideologie, che permetta la crescita di una consapevolezza collettiva. La crescita della consapevolezza e dell’identità culturale, inoltre, deve poter avvenire all’interno di un programma “scientificamente” e culturalmente basato, opportunamente al di fuori delle rappresentazioni di piazza, dalle infantili forme di socializzazione modello “flash mob”. Lasciamo ad altri, a coloro che veramente sacrificano la loro carne, il compito di individuare ed attuare le strategie più opportune per garantire la sicurezza nella nostra città. E noi …? Contentiamoci di educare al bello chi ci seguirà e chi ci accompagna, ricercando l’archè e le migliori prospettive. Ma, per farlo, cominciamo dal bello e dalle sue espressioni. E smettiamola di accendere fiaccole … altrimenti rischieremo di bruciarci le mani.
Oudeis