19\01\2013 – Con una recente Sentenza della Corte di Cassazione, gli Ermellini hanno statuito un importante principio di diritto, atto a definire i rapporti tra processo penale e processo del lavoro: il caso sottoposto al vaglio dell’On.le Corte ha riguardato il lavoratore di un’impresa, il quale, imputato in un processo penale con l’accusa di furto di beni aziendali, nello specifico 60 litri di carburante, nonostante la sentenza di assoluzione pronunciata, poi, nei suoi confronti, è stato licenziato dal datore di lavoro, il quale ha ravvisato nei fatti oggetto della pronuncia penale la “giusta causa” del licenziamento. A seguito di tale licenziamento, il lavoratore si è rivolto al Giudice del Lavoro, al fine di ottenere la dichiarazione di “nullità” di tale provvedimento: tuttavia, il Giudice del Lavoro di I° e II° grado, ritenendo, da un lato, giudizialmente “provato” il fatto addebitato al lavoratore sulla base delle prove testimoniali assunte in giudizio, e, dall’altro, “irrilevante” l’esito processo penale, ha dichiarato “legittimo” il provvedimento di licenziamento. Il lavoratore ha, così, proposto ricorso in Cassazione, rilevando che il provvedimento di licenziamento era stato determinato dai medesimi fatti che avevano dato origine all’imputazione penale e per i quali era stato, poi, “assolto”, e, pertanto, lamentava l’assoluta “illegittimità” di tale provvedimento. Gli Ermellini, però, con la recentissima Sentenza n. 802/13, hanno rigettato il ricorso, affermando l’assoluta indipendenza tra giudicato penale e processo del lavoro: secondo la Suprema Corte, infatti, non sussiste alcun vizio di contraddittorietà tra i due diversi giudizi, poichè il Giudice del Lavoro gode di piena autonomia rispetto agli esiti del giudicato penale, e, pertanto, può ricostruire autonomamente i fatti oggetto di causa, giungendo a qualificazioni ed a valutazioni degli stessi che sono del tutto svincolate tra loro e che, quindi, possono anche essere diametralmente opposte. Ovviamente il Giudice del Lavoro, deve ricostruire e valutare la vicenda sottoposta a Suo vaglio, e, quindi, verificare la sussistenza o meno della “giusta causa” del licenziamento, valutando la gravità del comportamento del lavoratore ai sensi e per gli effetti dell’art. 2119 del Codice Civile, “Recesso per giusta causa”, secondo il quale ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto, nonchè ai sensi dell’art. 1 Legge n. 604/66, secondo cui il licenziamento del prestatore di lavoro è legittimo se determinato da “giusta causa” o da “giustificato motivo”: in particolare, hanno specificato gli Ermellini nella sentenza de quo, il Giudice del Lavoro deve valutare se e quale incidenza il fatto addebitato al lavoratore abbia avuto sul rapporto fiduciario che intercorre tra costui ed il datore di lavoro, nonchè sulle esigenze organizzative e sulle regole aziendali, e ciò, indipendentemente ed autonomamente dal giudizio penale formatosi sui medesimi fatti.
Avv. Antonella Rigolino