Made in Italy

10\11\2012 – “Made in Italy”, espressione di origine inglese con la quale s’intende certificare ed attestare la qualità della produzione artigianale e industriale italiana, che, in molteplici settori, spesso vede eccellere i nostri prodotti nella competizione commerciale internazionale; non a caso, infatti, l’indicazione “Made in Italy” è diventata, oramai, un vero e proprio marchio, un brand, che è il terzo al Mondo per notorietà, dopo i marchi Coca-Cola e VISA. Il marchio “Made in Italy” apposto sui nostri prodotti, ci contraddistingue, dunque, come “popolo italiano”, contraddistingue le nostre più profonde tradizioni e valorizza la nostra capacità di trasformare un prodotto fino a renderlo unico al Mondo.  Tuttavia, molti sono i Paesi che cercano di attentare alla nostra “italianità”, commercializzando prodotti spacciandoli per “prodotti italiani”, ma che di “italiano” hanno poco o nulla; e proprio al fine di arginare questo deplorevole fenomeno di commercializzazione di prodotti recanti false indicazioni di provenienza, è stata emanato il D.L. 135/09 che, all’art. 16, ha introdotto nuove e più rigide regole per tutelare il “Made in Italy e i prodotti interamente italiani”: con tale normativa, infatti, vengono ampliate le condotte sanzionatorie già previste nelle precedenti legislazioni e, quindi, vengono penalmente sanzionati: l’uso di indicazioni di vendita che presentino il prodotto come interamente realizzato in Italia, quale, ad esempio, “100% Made in Italy”, “100% Italia”, “Tutto italiano”; la falsa indicazione di provenienza; la fallace indicazione di provenienza, cioè l’uso di segni e marchi tali da indurre il Consumatore nell’erroneo convincimento che il prodotto sia di origine italiana. Dal predetto corpus normativo si evince, dunque, che la dicitura “Made in Italy” è consentita esclusivamente per i prodotti finiti, per i quali le fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale: numerose, in tal senso, sono state, sino ad oggi, le pronunce giurisprudenziali che sono intervenute per chiarire il concetto di commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza. In sede di giudizio di merito, particolare rilievo assume il dictum del Tribunale Penale di Nocera Inferiore (SA), che, nel 2012, ha pronunciato Sentenza di Condanna per il reato di “Vendita di prodotti industriali con segni mendaci” ex art. 517 C.P., nei confronti del titolare di un’azienda conserviera, imputato di aver trasformato e commercializzato triplo concentrato di pomodoro importato dalla Cina, etichettandolo come “Made in Italy”, al fine immetterlo, sia sul mercato italiano, sia su quello comunitario ed extra UE. La tesi difensiva dell’imputato ha ritenuto in giudizio che il processo di lavorazione, a cui il prodotto era stato sottoposto in Italia, in specie pastorizzazione e aggiunta di acqua e sale, sulla base della normativa doganale, costituiva, a tutti gli effetti, “lavorazione sostanziale”, e, quindi, il concentrato di pomodoro, pur provenendo dalla Cina, poteva legittimamente essere commercializzato come concentrato di pomodoro prodotto in Italia; di diverso avviso, è stato, però, il convincimento del Giudice di merito, il quale, accogliendo la tesi accusatoria, avallata anche dalla relativa Perizia di Parte, ha ritenuto che il processo di lavorazione effettuato in Italia non consentiva di etichettare come “produzione italiana” il concentrato di pomodoro di provenienza cinese.  Tale orientamento è condiviso anche dalla Giurisprudenza di Legittimità, la quale, con la Sentenza n. 19650/12, ha stabilito che il marchio “Made in Italy” può essere apposto soltanto quando le fasi di lavorazione per realizzare un prodotto finito siano state compiute prevalentemente in Italia: la vicenda che ha dato origine a tale Sentenza è stato un sequestro effettuato dalla Guardia di Finanza di merce trasportata da un Tir proveniente dalla Romania, merce destinata ad essere assemblata in Italia per realizzare calzature da immettere sul mercato e riposta in contenitori che recavano l’indicazione “Made in Italy”. Nel decidere il caso sottoposto al Suo vaglio, la III° Sezione Penale della Corte di Cassazione, richiamando la Legge 55/10 “Disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri” in materia di etichettatura di prodotti realizzati in Italia, ha statuito che l’etichetta “Made in Italy” è consentita solamente per i prodotti finiti, per i quali le fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente in Italia e, in particolare, se almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore siano state eseguite nel territorio italiano e se per le rimanenti fasi sia verificabile la tracciabilità (art. 1, co. IV°, Legge 55/10).  L’apposizione sui nostri prodotti del brand “Made in Italy” costituisce, quindi, sinonimo di qualità e prestigio della nostra produzione in molteplici settori, ad esempio abbigliamento, calzature, gastronomia, design, moda, ect…, ed è per questo che la normativa nazionale, nonchè gli orientamenti giurisprudenziali, di merito e di legittimità, sono tutti volti alla difesa ed alla valorizzazione della nostra produzione artigianale e industriale, in Europa e nel Mondo.

Avv. Antonella Rigolino

banner

Recommended For You

About the Author: Antonella Rigolino