“Un bambino di 10 anni si è suicidato impiccandosi con una sciarpa nel bagno…i genitori, italiani, erano in fase di separazione ma il bambino non aveva mai manifestato particolari problematiche. …Ma lui non aveva mai veramente accettato la separazione dei genitori. Ha sofferto molto e non ha mai superato il dolore. Era l’unica ombra nel cuore di Luis (nome inventato). Almeno per quanto ne sapessimo noi”” Ed ancora…. “Cittadella, trascinato via da scuola: sulla pelle di un bambino infieriscono poliziotti e famiglia”.
01\11\2012 – Sono soltanto due dei numerosi episodi di cronaca, più o meno recenti, i cui protagonisti sono dei bambini, vittime di una società in cui, famiglie ed istituzioni, sono sempre più impegnate a tutelare diritti genitoriali, giuridici, morali ( ?) forse, senza dar ascolto alle urla di dolore, spesso silenziose, dei bambini che, privati della loro essenza di persona, non solo non vengono ascoltati ma vengono anche violati nel diritto di un’ infanzia serena. Se però, sebbene mi dolga affermarlo, sembra esserci ormai una sorta di assuefazione o abitudine ai continui casi di cronaca in cui all’ ordine del giorno vi sono affidamenti, allontanamenti, a volte forse un po’ troppo facili e semplicistici, dalle famiglie o cecità dei servizi sociali in situazioni di incapacità e inaffidabilità genitoriale, rimane ancora difficile, se non impossibile, trovare le spiegazioni ad un gesto cosi estremo, quale il suicidio, ancora più difficile quando a farlo è un bambino. I dati ci insegnano infatti che, sebbene il suicidio sia ormai sempre più frequente, la mortalità per suicidio cresce all’aumentare dell’età per cui sconcerta e inorridisce la scelta, se di scelta si può parlare, di compiere un atto cosi estremo a soli dieci anni. L’ abuso dei termini depressione, instabilità emotiva, bipolarità sono diventati oramai le tanto svendute diagnosi effettuate per trovare una causa a ormai continue azioni autodistruttive ed eterodistruttive dell’ uomo. La storia di questo bambino mi porta a riflettere, insieme agli ultimi fatti di cronaca relativi alla tanto discussa sindrome da alienazione parentale, di quanto ormai il metro di misura per essere un buon genitore sia la capacità di farsi la guerra per contendersi i figli come fossero pacchi o oggetti, e della tendenza ormai sempre più affermata a non riconoscere ai bambini il loro essere persona, violando il loro bisogno e diritto di essere accuditi e protetti. Lungi da me voler fare semplicistiche accuse o illazioni, non posso non prendere in considerazione la possibilità che un bambino, che arrivi a fare un gesto cosi estremo, non solo, a differenza di quanto affermano i media, vivesse una condizione di disagio ma probabilmente lo stesso è divenuto ancora più insostenibile a causa di una profonda solitudine. Mi chiedo ancora: questa solitudine lo ha forse reso incapace di chiedere aiuto o forse questa richiesta è stata fatta secondo quel linguaggio cosi particolare, ma altrettanto alto, proprio dei bambini, fatto a volte di silenzi, a volte di capricci, a volte di pianti o di sorrisi, che spesso gli adulti o non sono capaci di interpretare o scelgono inconsapevolmente di non farlo, perché quella comunicazione sarebbe troppo dolorosa e discordante con la chiave di lettura che hanno scelto di utilizzare per interpretare piuttosto che conoscere, come dovrebbe essere, i desideri e i bisogni dei propri figli. Chissà se questo bambino volesse realmente uccidersi o il suo era solo un tentativo disperato di richiamare l’ attenzione, tentativo andato a male, per essere finalmente visibile agli occhi di adulti sempre più presi dai propri problemi, relazionali, di coppia, lavorativi, economici…e sempre più autocentrati al punto da delegare ad altri l’ educazione dei propri figli e a rimandare le loro richieste di aiuto e di attenzione che spesso sono silenziose, a causa della loro profonda sensibilità, che li porta a decidere di mettersi in secondo piano per non disturbare, per non essere di troppo..
Dott.ssa Antonia Sergi, psicologa