La sentenza che tanto si aspettava è arrivata: carcere a vita per l’ex Rais egiziano Mubarak. L’accusa aveva chiesto la pena capitale per l’ex dittatore. Trasportato subito dopo la sentenza in un ospedale militare, il rais secondo fonti anonime, si sarebbe rifiutato di scendere dall’elicottero su cui si trovava tra le lacrime, venendo colpito da una crisi cardiaca. Una sentenza a dir poco storica, visto che Mubarak è stato il primo dittatore arabo a essere condannato da un tribunale del suo stesso paese. L’accusa per lui era di complicità nella strage di 850 manifestanti durante la rivolta dello scorso anno, che di fatto lo costrinse a lasciare il potere. Le altre accuse erano di corruzione, così come per i suoi figli, Alaa e Gamal, assolti insieme a lui per questo capo d’imputazione, caduto in prescrizione. Stessa sorte è toccata al ministro dell’Interno del regime, Habib al-Hadly, condannato all’ergastolo. Assolti i sei assistenti al ministero. Dure le contestazioni provocate dalla prescrizione del reato di corruzione per lui e per i figli. I tumulti si sono scatenati sia all’interno dell’aula dove si svolgeva il processo, che in piazza dove i familiari delle vittime della Rivoluzione del 25 gennaio hanno urlato slogan e alzato cartelli con scritte del tipo «La sentenza del popolo è la morte». Sicuro il ricorso del legale della famiglia di Mubarak, il quale si è detto: «Certo della vittoria. Vinceremo, è sicuro al milione per cento, anche perché il verdetto è zeppo di vizi legali da ogni parte». Stessa cosa per gli avvocati delle vittime della repressione, i quali hanno annunciato anche loro di ricorrere in Cassazione.
Salvatore Borruto