Rivolte in tutto l’Afghanistan contro i militari Usa. A scatenare la violenza, la presunta profanazione di alcune copie del Corano in una base americana. Il bilancio fino ad oggi parla chiaro: otto morti e una ventina di feriti.
A scendere in piazza migliaia e migliaia di afgani che hanno scatenato tutta la propria rabbia nei confronti del presunto atto blasfemo consumato in una base americana. Duemila persone, forse più, a gridare, e brandire copie annerite dal fuoco contro la “profanazione”, uno degli atti più gravi e imperdonabili che si possa perpetrare contro un musulmano. Secondo la portavoce del governatorato della provincia di Parwan Roshana Khalid: «I manifestanti hanno tentato di assaltare il quartier generale dell’amministrazione del distretto e hanno iniziato ad attaccare la polizia».
Per cercare di stemperare gli animi fin troppo accesi, è intervenuto il comandante dell’Isaf, la missione a guida Nato, John Allen attraverso una lettera al “nobile popolo afgano” nella quale si annuncia l’apertura di: «un’inchiesta sulle informazioni ricevute secondo cui il personale della base di Bagram avrebbe fatto uso improprio di un ingente materiale religioso islamico. Sono state prese misure specifiche per evitare che possa ripetersi. Vi assicuro, ve lo garantisco, che ciò non è stato in alcun modo intenzionale».
A conferma della gravità della situazione, l’intervento diretto del ministro della Difesa Leon Panetta, che ha chiesto scusa per «l’inopportuno trattamento riservato ai Corani». Dalle prime ricostruzioni, sembrerebbe che il materiale sia stato requisito ai prigionieri talebani detenuti nella prigione di Parwan, accanto alla base, i quali avevano trovato il modo, scambiandosi copie del libro sacro, di comunicare fra loro e forse anche con l’esterno. Il “materiale” dunque, è stato prima accatastato in un container e successivamente dato alle fiamme. A questo punto sarebbe intervenuto un dipendente afghano nella base, per cercare di fermare e poi denunciare l’atto sacrilego.
Salvatore Borruto