Ankara- La Turchia di Recep Tayyip Erdogan si è detta pronta a mediare tra Occidente e Iran in merito alla spinosa questione del nucleare, invitando entrambe le parti a moderare i toni. Secondo quanto pubblicato nell’ultimo report dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ci sarebbero prove evidenti che Teheran stia lavorando alla bomba atomica. La reazione delle potenze occidentali non si è fatta attendere: primo tra tutti Israele ha ventilato la possibilità di bombardamenti aerei sui siti nucleari iraniani e anche America, Francia e Inghilterra hanno minacciato l’adozione di misure sanzionatorie. L’Ayatalloha Ali Khamanei ha quindi replicato che l’Iran risponderà con mezzi adeguati alle minacce o ai tentativi di aggressione. Ankara, che è apertamente contraria ad ogni tipo di tensione e di azione militare nella regione, ha richiamato alla calma sottolineando che sia l’Iran che l’Occidente dovrebbero nuovamente sedersi ad un tavolo negoziale e affrontare la questione in modo pacifico. L’attenzione al dialogo è un imperativo nella retorica politica del governo turco ed è visibile in numerosi, ma poco riusciti, tentativi di mediazione proprio sul nucleare iraniano. Già lo scorso anno la Turchia, pur coordinandosi con l’azione della Germania e dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (cosiddetti P5+1), ha rifiutato ogni logica punitiva, criticando aspramente i sospetti dell’Occidente verso Teheran. In questa cornice è anche da inserire la fallita trattativa bilaterale con il Brasile del maggio 2010, che sembra aver minato definitivamente la credibilità di Ankara come arbitro potenziale e credibile agli occhi della comunità internazionale. Davanti all’aumentare delle tensioni il Ministro degli Esteri Davutoglu ha sottolineato che la politica turca è condotta secondo il principio di risoluzione pacifica dei conflitti e di profondo rifiuto verso la proliferazione di armi di distruzione di massa sia a livello regionale che globale. In linea con l’idea di ordine internazionale e di armonia tra le parti, che emerge dal quadro teorico dell’amministrazione del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), l’aspirazione della Turchia di servire come corridoio commerciale ed energetico tra Occidente e Iran fornisce ragioni sufficienti per comprendere lo scetticismo turco ad appoggiare un’azione contro Teheran. Senza dubbio è un dato significativo che, grazie al pragmatismo e all’inclinazione pro-business dell’AKP, il volume degli scambi commerciali tra i due paesi negli ultimi nove anni sia cresciuto da 1.3 miliardi di dollari a 11 miliardi. Al di là degli interessi strategico-economici e dei nobili principi di condotta, il ruolo di mediatore richiede inclinazione al dialogo e buoni rapporti con tutte le parti in causa. E nella materia specifica questo non è il caso della Turchia: se nei confronti di Israele i rapporti sono ormai congelati e non si intravvedono spiragli per ulteriori trattative, vi è una sorta di lack of confidence anche da e verso l’Occidente. Sono quindi i fatti a dimostrare che ergersi a conciliatore delle dispute è molto più facile in teoria che nella pratica.
Valeria Giannotta