Dopo la rovinosa fine del Rais, per la Libia si apre la partita più importante di tutte, quella legata al proprio futuro. La missione Nato chiuderà battenti il 31 di ottobre, e i ribelli ormai maggioranza nel paese, dovranno cercare di gestire al meglio la situazione. Per adesso non ci sono stati grandi banchi di prova, solamente la gestione straordinaria di alcune città, in maniera disordinata e poco organica. Rimangono parecchi dubbi sulla tenuta interna del paese, sulle condizioni e sulle scelte che le tribù faranno rispetto al governo provvisorio di Bengasi. Il premier in carica Jibril, ha annunciato che ci saranno libere elezioni entro otto mesi a partire dalla data di uccisione di Gheddafi. Appare chiaro che il vero banco di prova saranno proprio le elezioni, momento in cui si farà la prova del nove sullo stato della democrazia in Libia, o meglio se si riuscirà ad instaurarla in maniera positiva, democratica e appunto, scusate il gioco di parole, democratica. I ribelli non hanno avuto un grandissimo impatto sulla guerra di liberazione; sicuramente hanno avuto un ruolo chiave, ma senza l’aiuto economico, militare e strategico delle nazioni Nato, non sarebbero riusciti a ribaltare la situazione. E adesso appare scontato che l’occidente reclamerà la propria parte nella nuova Libia. Che impatto avrà l’Islam nella nascente democrazia? Sarà un repubblica progressista rispetto ai temi della legge islamica, oppure i fondamentalisti prenderanno il sopravvento come in altri paesi vicini? Domande a cui è difficile dare una risposta chiara, anche perché al momento la situazione non è delle più logiche, ma abbastanza fluida e in movimento. Certo la cattura del Rais, e l’esecuzione sommaria non è che abbia dato una bella immagine delle forze di liberazione. Gheddafi sicuramente si è macchiato di crimini e di colpe inimmaginabili, ma la cosa più logica da fare, sarebbe stata quella di catturarlo e processarlo, così come è stato fatto per Saddam Hussein nel vicino Iraq. Inoltre non eseguire l’autopsia sul corpo del Colonnello è un altro errore commesso dalle nuove forze politiche. Un filo rosso accomuna la fine di quasi tutti i regimi: la morte e le scene di giubilo attorno ai cadaveri degli oppressi, che sfogano tutta la propria rabbia, contro dei corpi inermi, quasi a sminuire il terrore subito durante il corso degli eventi. Da Benito Mussolini a Ceausescu, la morte e la caduta rovinosa sono state il tragico epilogo di storie di morte e di vittorie, di polvere e di trionfi, di vite spezzate e oppressioni, di dittature appunto.
Salvatore Borruto