Per la prima volta nella storia americana, il proprio debito pubblico è stato declassato, e quindi acquistare titoli di stato americani, non è più un operazione senza rischi alcuni. La valutazione dunque non è più quella di “AAA”, cioè la valutazione più virtuosa che le agenzie danno ai paesi, e passa a un sempre positivo “AA+”, che di fatto non è andato giù all’amministrazione americana. La decisione di Standard & Poor’s è senza precedenti, ed è arrivata dopo un lunghissimo braccio di ferro con il Tesoro americano. L’agenzia ha mandato il proprio rapporto al tesoro americano nella giornata di venerdì attorno alle 13 e 30 ora americana. Dopo un’accurata analisi dei tecnici, il Tesoro ha attaccato pesantemente S&P. Secondo il titolare del Ministero Timothy Geithner, l’agenzia avrebbe fatto un errore nei propri calcoli, sbagliando nettamente di 2.000 miliardi di dollari. A questo punto l’agenzia ha ritardato la diffusione del comunicato, che poi è stato pubblicato nella tarda nottata. Secondo Standard & Poor’s: «Il downgrade riflette la nostra opinione sul piano di risanamento che non è adeguato a quanto sarebbe necessario per stabilizzare nel medio-termine il debito. L’efficacia, la stabilità e la prevedibilità della politica americana si è indebolita in un momento in cui le sfide fiscali ed economiche aumentano. Il tetto del debito doveva essere alzato prima per evitare il downgrade».
Secondo alcuni analisti la decisione di Standard & Poor’s sarebbe più psicologica che pratica, e non dovrebbe portar nessun tipo di problema ai titoli di stato americani. Il downgrade di una sola agenzia di rating su tre (ricordiamo che Moody’s e Ficth hanno lasciato invariati i giudizi di tripla A sugli States) è cosa molto gestibile. L’unico problema potrebbe essere una caduta di fiducia nel sistema, portando a un raffreddamento dei mercati azionari, in un momento così critico per l’economia mondiale, causando inoltre il downgrade di aziende e stati, per i quali i costi di finanziamento potrebbero salire. La maggiore curiosità è quella di capire se gli appetiti degli investitori esteri verso i titoli americani scenderanno, visto che nel 1945 i creditori esteri detenevano solo l’1% del debito americano, ora ne controllano il 46%. Di fatto la Cina si è duramente lamentata condannando a loro detta “la miope disputa politica interna dei giorni scorsi”, aggiungendo in un durissimo comunicato che: «La Cina, il più grande creditore dell’unica superpotenza mondiale, ha tutto il diritto di chiedere oggi agli Stati Uniti la soluzione dei problemi di debito strutturali e garantire la sicurezza degli asset cinesi denominati in dollari».
Salvatore Borruto