Spesso si parla di relazione e di rapporto considerandoli come due sinonimi, due termini interscambiabili, eppure, non me ne voglia la lingua italiana, credo che tra i due termini ci sia una differenza qualitativa nel loro significato. Credo infatti che la relazione sia il plus, quel valore aggiunto che da spessore a un rapporto, che gli conferisce qualità. Essa infatti può essere definita come la capacità di accogliere le diversità dell’altro e la capacità di vivere insieme. Buber, importante filosofo e pedagogista del 900, sosteneva infatti che è la relazione il luogo in cui ognuno riconosce la propria e altrui individualità in quanto “l’io si forma nell’incontro con il tu”. Proprio per questo è fondamentale riconoscere che alla base della relazione vi sia il riconoscimento della propria soggettività, poiché solo quando si da dignità all’io, ci si riconosce come portatori di significati e di valori, e si può dare, pertanto, riconoscimento al tu, all’altro. E solo nel riconoscimento dell’io e del tu, delle diversità tra quest’ultimi e della bellezza di queste differenze come fonte di arricchimento vicendevole si arriva a comprendere e accettare che ognuno ha il suo luogo di vista da cui vede le cose e quindi a ciascuno le cose appaiono in modo diverso. Attendere, ascoltare e accogliere sono i tre “verbi/sinonimo” ( se mai esistesse una categoria grammaticale di questo tipo nella lingua italiana) che possono definire, a mio parere, e, nello stesso tempo, caratterizzare il concetto di relazione. Solo chi è in relazione comunica autenticamente, laddove per comunicazione non s’ intende soltanto inviare informazioni all’indirizzo di un’altra persona ma creare negli altri un’esperienza, coinvolgerli in un evento che ha una valenza emotiva. Si comunica quando non ci limitiamo a raccontare delle cose, ma desideriamo partecipare qualcosa della nostra vita all’altro. Il valore di una relazione è direttamente proporzionale al tempo che investi in quella relazione. Il pericolo più grande in un rapporto, se non si è in relazione, è quello di non-incontrarsi, di stare uno dietro l’ altro e non accanto all’altro, o cosa ancora più triste, di spostare l’altro verso lo sfondo, verso il muro della disattenzione, del non ascolto. Essere in relazione e vivere una relazione significa dunque rendersi in qualche modo vulnerabili, cessare di difendersi, di guardarsi, di costruirsi, per impegnarsi in un’avventura piena di incognite, di imprevedibilità in cui vi sono i rischi che si corrono ogni qualvolta ci si metta in gioco ma anche delle possibilità, di conoscersi, di arricchirsi, di imparare a riconoscere i propri bisogni e quelli altrui e di provare a rispettarli. Non può esistere,dunque, relazione senza ascolto pertanto dovremmo forse tutti un po’ imparare che: “ Quando ti domando di ascoltarmi e tu cominci a darmi dei consigli, non fai quello che io ti ho chiesto. Quando ti domando di ascoltarmi e inizi a dirmi perché non dovrei sentirmi in quel modo calpesti i miei sentimenti. Quando ti chiedo di ascoltarmi e tu credi di dover fare qualcosa per risolvere il mio problema non mi aiuti, anche se può sembrare strano. Non potresti solo ascoltare?”
Antonella Sergi