Amy Winehouse : la tragedia nel sangue

Ventisette anni, due dischi in studio, una voce prodigiosa, sorprendente, superba. Amy Winehouse era una ragazza fragile, e questa fragilità si riscontrava in ogni contesto della sua vita. Sono state spese milioni di parole ed immagini per descrivere la sua esistenza, fatta di eccessi, droga, alcol e farmaci, e ben poche per descrivere l’artista che era. Una fine annunciata la sua, di quelle che ti aspetti, di quelle che si contestano, che non si capiscono, a cui non si riesce a dare una spiegazione logica, di quelle alla Kurt Cobain. Le parole dei suoi testi bruciavano di un’energia estrema, di quella che fa male, che ti lascia senza fiato. Era una ragazza spezzata, rotta in mille pezzi, che nessuno riusciva a far combaciare, tantomeno ad unire l’uno all’altro; scriveva di lei come qualcosa di sbagliato, di pericoloso, scriveva di quanto il suo mondo intorno, suo padre, avessero spinto per appoggiare una riabilitazione, e di quanto lei con fermezza avesse risposto negativamente all’invito, di quanto si sentisse sopra le regole, ad un punto di ritorno che in fondo sapeva fosse il contrario. Lei, non bella ma portentosa, con la voce degna di una grande cantante di colore, coi toni anni cinquanta, con la musica che fluiva nel sangue insieme alla tragedia stessa. A causa della sua dipendenza era stata costretta a sospendere il tour, e il suo terzo disco. Le ultime parole le ha dette alla madre ventiquattro ore prima della sua morte, “ti voglio bene, mamma” pronunciò sull’uscio di casa. Adesso non ci rimane altro che smettere di giudicare la persona, e ricordare per sempre l’artista, immortale fra le note delle sue liriche.

Fausta Canzoneri

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