2 giugno, prova generale d’Estate

In un anno avaro di “ponti”, è giunta l’ora di staccare la spina e concedersi un lungo e spensierato weekend. Il ponte del prossimo 2 giugno potrebbe essere l’occasione per rilassarsi tra la bellezza e la magia di uno dei tratti più belli della costa agrigentina: La Scala dei Turchi. Siamo a Realmonte, piccolo paese, in provincia di Agrigento, poco distante da Porto Empedocle. Qui, bianchi contrafforti rocciosi si tuffano nelle acque cristalline del mar Mediterraneo. Uno spettacolo unico, inconfondibile. Un contrasto di colori abbagliante. Nei secoli, il vento e le onde, hanno modellato la scogliera di marna − roccia sedimentaria a grana fine, di natura calcarea e argillosa, dal caratteristico colore bianco −, creando una scalinata naturale; un susseguirsi di gradoni e terrazze dalle linee morbide, che degradano verso il mare. Il nome di questo luogo deriva dalla sua naturale forma e dalle incursioni delle popolazioni arabe chiamate genericamente “turchi” che, secondo la tradizione popolare, ormeggiavano le loro navi in queste acque, si arrampicavano tra i solchi della scogliera e raggiunta la cima saccheggiavano i villaggi circostanti.

Tra natura e leggenda, scegliete la Scala dei Turchi per immergervi in un sogno.Curiosità: Una particolare descrizione della Scala dei Turchi si può leggere in “La prima indagine di Montalbano” di Andrea Camilleri: “Arrivò sparato al cafè Castiglione che stava sempre al solito posto, l’aviva controllato in  precedenza. «Mi sa dire come si fa ad arrivare alla Scala dei Turchi?» «Certo». Il cammareri gli spiegò la strata. (…) Seguendo le istruzioni del cammareri, a un certo punto girò a mancina, fece qualche metro di strata asfaltata in discesa e si fermò. La strata non proseguiva, abbisognava aminare sulla rina. Si levò le scarpe e le quasette che lasciò in machina, la chiuì, si rimboccò l’orlo dei pantaloni e raggiunse la ripa del mare. L’acqua era frisca, ma non fridda. Passato un promontorio, la Scala dei Turchi gli apparse ‘mprovisa. Se l’arricordava assai più imponenti, quanno si è nichi tutto ci appare più granni della realtà. Ma anche accussì ridimensionata conservava la sua sorprendente billizza. Il profilo della parte più alta della collina di marna candida s’incideva contro l’azzurro del cielo terso, senza una nuvola, ed era incoronato da siepi di un verde intenso. Nella parte più bassa, la punta formata dagli ultimi gradoni che sprofondavano nel blu chiaro del mare, pigliata in pieno dal sole, si tingeva, sbrilluccicando, di sfumature che tiravano al rosa carrico. Invece la zona più arretrata del costone poggiava tutta sul giallo della rina. Montalbano si sentì sturduto dall’eccesso dei colori, vere e proprie grida, tanto che dovette per un attimo inserrare l’occhi e tapparsi le orecchie con le mano. C’era ancora un centinaro di metri per arrivare alla base della collina, ma preferì ammirarla a distanza: si scantava di venirsi a trovare nella reale irrealtà di un quadro, di una pittura, d’addivintare lui stesso una macchia – certamente stonata – di colore. S’assittò sulla sabbia asciutta, affatato. E accussì stette, fumandosi una sigaretta appresso all’altra, perso a taliare le variazioni della  tinteggiatura del sole, via via che andava calando, sui gradoni più bassi della Scala dei Turchi”.

Adele Sergi

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