18\05\2011 – L’economista statunitense Paul Samuelson (1915 – 2009) è stato certamente il più illustre seguace delle idee di Keynes. Samuelson proveniva da una famiglia ebraica di origine polacca; studiò con ottimo profitto a Chicago. Ben presto divenne un colosso mondiale del pensiero economico: è stato il primo economista a conseguire il Premio Nobel, nel 1970. Il suo libro di testo “Economics” è una pietra miliare nello studio dell’Economia. Samuelson ha innanzitutto portato all’Economia un contributo di tipo metodologico, utilizzando i modelli matematici per l’analisi dei problemi. E dall’osservazione diretta è riuscito a definire una relazione fra commercio internazionale e salari, negli Stati Uniti, con l’enunciazione del “teorema Stolper – Samuelson”. Con questa teoria era riuscito a mettere in evidenza che, negli Stati Uniti, in presenza di importazioni di prodotti tessili provenienti da Paesi in Via di Sviluppo, i salari degli addetti del settore diminuivano. Le idee economiche di Samuelson si sono spesso contrapposte a quelle di un altro grande economista del Novecento, lo statunitense Milton Friedman (1912 – 2006). Friedman è considerato il fondatore della scuola monetarista, che si contrappone alla visione keynesiana di Samuelson. Ne è scaturito, quindi, il celebre dibattito fra monetaristi e keynesiani che ha caratterizzato soprattutto i periodi di crisi. La visione dei keynesiani in un periodo di crisi è già nota: lo Stato interviene con spesa pubblica di ammontare pari alla differenza fra reddito potenziale e reddito effettivo, generando un moltiplicatore degli investimenti. Samuelson, dunque, si colloca in questo filone intellettuale. La visione dei monetaristi riguardo un periodo di crisi, invece, è diversa: Friedman, infatti, da liberista convinto, ritiene che lo Stato non debba intervenire, ed affida la risposta ai mercati, ed in particolare alla manovra del tasso di interesse. Tassi di interesse bassi dovrebbero incentivare gli investimenti e fare ripartire l’economia. In questo modo di intendere le cose, si tralascia di considerare che, in taluni casi, la propensione all’investimento è vanificata dalla capacità del mercato di assorbire la produzione.
Prof. Giuseppe Cantarella