E’ leggendo Notte da ergastolano che ho davvero capito un romanzo di Jack London, Il prigioniero delle stelle, dove il detenuto seviziato dai secondini e immobilizzato in una camicia di forza, evade rivivendo le sue vite precedenti. Riesce a resistere perché non è più lì- è in Egitto 5000 anni fa o nella Spagna moresca. Mentre i suoi aguzzini infieriscono sul suo corpo, lui passeggia nel mondo e nel tempo, e così si salva. Più interessante la fuga di Musumeci, che evade senza evadere dalla sua vera esistenza ma sprofonda in se stesso, nella sua realtà che doppia quella della prigione. Più fortunato del personaggio di London, che non ha la grande compagna di fuga, la scrittura. Musumeci ha il dono. Le idee, il ritmo, il linguaggio Mentre lavoravo alla prefazione del suo racconto mi ha scritto. Non essere tenera, non ce n’è bisogno perché sono ancora vivo.. Ho sempre paura che mi dicano che scrivo bene perché sono un detenuto. . Non c’è pericolo. Ergastolano o libero, la scrittura c’è o non c’è, e nessun elogio può fingerla. In una notte in cui “ il dolore è più forte delle altre notti “, il protagonista sa che non vuole arrivare a giorno. “Certe sere, anche se là fuori sei amato, ti senti solo e non hai altro che te stesso.” Quella notte si suiciderà. E’ deciso. “La pena di morte è meno crudele dell’ergastolo”. Mentre prepara minuziosamente l’impiccagione, pensa una silenziosa lettera d’addio alla moglie, ai figli, al nipotino, al cane- “ci mancava anche il cane, questa non è più una lettera d’addio, sta diventando un romanzo”. Carmelo conosce la scienza degli addìi. “Ora sei pronto, non perdere più tempo e non lasciarti scappare questa occasione per scappare. (…) Meglio morto che zombi, è l’unica via di fuga che hai, da’ sto cazzo di calcio allo sgabello”. La tenerezza lo tenta, ma sa bene che nulla potrà trattenerlo. E invece l’amore lo trattiene. La vita lo trattiene. Il piacere del pensiero, lo straziante pensiero lo trattiene, con tutte le sue torture. “Per questa notte preferisco vivere, mi rimetto a letto…è stata proprio una brutta nottataccia da cani, una notte da ergastolano”. E’ un rito, lo fa quasi ogni notte. Si dà tutte le buone ragioni per morire, poi quelli che ama lo riportano in vita. Più forte e arrabbiato che mai. E’ un gioco, un gioco che riesce sempre perché lui gioca sul serio: vuole davvero morire, e sa che da un momento all’altro potrebbe farlo. Ogni volta non sa, fino all’ultimo, come andrà a finire. Altrimenti l’esorcismo non funzionerebbe. E’ una roulette russa fra due passioni opposte. Continuare- chiudere. Ogni volta fa ruotare il tamburo della pistola, se la punta alla tempia, e spara. Se finora ne è uscito illeso, è perché un grande giocatore. Un po’ gigione ma pronto alla morte, come De Niro nel film Il cacciatore. Notte da ergastolano è bello non solo perché è vero (in letteratura conta ben poco), ma perché è mirabilmente scritto, irradia una forte emotività, senza fronzoli, con un tono che sa essere tenero e perfino ironico mantenendo la terribile durezza di fondo. Leggendo una raccolta di scritti di Musumeci, “L’assassino di sogni”, il ritmo spietato, la verità letteraria di ogni parola, l’abilità, la secchezza, mi hanno fatto pensare che abbia il fiato per un grande romanzo. L’autore dice di sé: “ Ho 55 anni. Sono nato colpevole. Famiglia povera. Genitori separati. Collegio e botte da preti e suore. Carcere da minorenne a maggiorenne. Ho sempre tifato da piccolo per i “cattivi” piuttosto che per i “buon”, perché i cattivi mi sono sempre sembrati più veri dei buoni. E poi chi non è stato cattivo è difficile che riesca a diventare buono. Ho una compagna che mi segue da trent’anni, due figli e due nipoti che sono tutti la mia vita. Mia figlia è severa, ho più paura di lei che di dieci carabinieri. Sono un “Uomo Ombra”, condannato alla “Pena di Morte Viva” che è l’ergastolo ostativo, senza nessuna possibilità di uscire se non metti un altro al posto tuo. Sono entrato in carcere con la quinta elementare. Mi sono laureato in giurisprudenza (ora sono in tesi per la specialistica). Senza contare gli anni scontati prima dell’ultimo arresto, mi trovo ininterrottamente da 20 anni in carcere. Ma mi sento un uomo libero, felice e innamorato dell’amore, nonostante la tristezza infinita di non poter stare accanto ai miei figli e alla mia compagna. Mi girano le palle che dovrò invecchiare e morire in carcere, anche per questo da molti anni lotto per l’abolizione dell’ergastolo ostativo.” Come Malcolm X studia in carcere. Nasce in carcere. Si forma. Scopre la passione politica. Deve studiare una difesa dalla disumanizzazione, mettere un muro fra sé e il muro. La condanna non è solo stare rinchiusi, ma essere in balìa del sistema carcerario in ogni sua forma, in ogni sua prepotenza. Invece di abbrutirsi si eleva, diventa un preparatissimo ribelle (“non sono un comunista, sono un anarchico puro). Come Malcom X, in carcere assume a fondo il senso della giustizia. Invece di farsi distruggere, diventa. Una corsa a non far dormire mai l’intelletto, l’affettività, la dignità, la percezione. Grazie al terzo occhio (il senso dell’umorismo), può esprimere la sua affettività con un pathos mai patetico. E’ un leader. Il suo blog ha un grande seguito, di estimatori e come si dice oggi, di fans affezionati, di gente che gli vuole bene. Visto il suo carisma, da una parte ha trovato attraverso i contatti esterni e la scrittura l’evasione perpetua, dall’altra, la cella deve stargli dieci volte più stretta che a un altro (parlo di un uomo che conosco solo per iscritto, e ciò che dico di Carmelo Musumeci sono impressioni che non si pretendono giudizi). Mi sembra che abbia una grande personalità, uno spettacolare narcisismo, un implacabile sentimento della giustizia, e titaniche passioni, e tormenti profondi, e una eccellente eloquenza letteraria. Tutto enorme, fuor di misura. Un gigantismo che sa esprimersi, come in Majakovskij, il poeta russo, dominatore anche quando non voleva. In Biografia di un bambino criminale, dove parla della sua infanzia, Carmelo Musumeci mi ricorda invece Langston Hughes, il poeta della dignità afroamericana. Il padre emigrato in Svizzera, la madre che fa avanti e indietro fra mariti e figli, la nonna che li tira su, e per nutrirli gli insegna a rubare prima che a scrivere. Ma una volta che viene scoperto, lo prende a schiaffi davanti a tutti. E poi in privato, perché s’è fatto beccare. Eppure anche allora la vita è più forte e si affaccia sfrenata la gioia ”passavo le giornate nella viuzza insieme agli altri bambini, scalzi e affamati ma felici di stare tutto il giorno a scorazzare nei campi a rubare la frutta dagli alberi, a caccia di lucertole e rane”. A nove anni muratore, a dieci il collegio “la mia prima prigione”, da cui evade. Il prete lo massacra di botte, lo chiude in uno stanzino senza acqua né cibo. Si vendicherà dandogli una sprangata in testa. Lavora in fabbrica. Poi la prima rapina. La prima prigione…. La mia conoscenza della vita e delle opere di Carmelo Musumeci passa attraverso Nadia Bizzotto, una indomabile e affascinante ragazza che ha con lo scrittore un rapporto dialettico e complementare, fortissimo. Lo segue da molti anni. Si tengono testa a vicenda, e dev’essere una bella lotta. La ringrazio anche per la capacità di mettersi in gioco, nella vita e nelle lettere che ci siamo scambiate.
Barbara Alberti