Le politiche fiscali per ridurre il deficit di bilancio e, per conseguenza, anche il debito pubblico, possono essere molteplici. Per colmare il deficit non ci sono che due strade: aumentare il prelievo fiscale complessivo ovvero diminuire la spesa pubblica. L’aumento del prelievo fiscale complessivo è una misura di politica economica che genera l’impopolarità dei governanti; non può spingersi, in ogni caso, oltre una determinata soglia in rapporto alla ricchezza prodotta. Il rapporto fra l’ammontare complessivo del prelievo fiscale ed il Prodotto Interno Lordo misurato nel medesimo anno, si assume come Pressione Fiscale. Tale indicatore statistico ha assunto in Italia, nel 2009, un valore pari al 43,2 %, vale a dire che quasi la metà della ricchezza prodotta in Italia è stata assorbita dal prelievo fiscale. I paesi UE dove la pressione fiscale risulta essere maggiore di quella italiana sono, nell’ordine (sempre nel 2009): Danimarca (49%), Svezia (47,8%), Belgio (45,3%), Austria (43,8%). Se mai, bisognerebbe indagare il rapporto fra la curva di distribuzione dei redditi percepiti e la curva di distribuzione della incidenza della fiscalità per ogni singolo percettore di reddito, vale a dire la giustizia nella distribuzione del prelievo fiscale. Su questo punto ci sarebbe molto da discutere. Si sente dire spesso, infatti, che l’evasione fiscale è il vero problema tributario italiano. Nel mirino sono sempre le stesse categorie, a cominciare dai commercianti per finire ai liberi professionisti. Gli unici percettori di reddito che non possono evadere il Fisco sono i lavoratori dipendenti pubblici. Combattere l’evasione, quindi, è una prima politica seria per ridurre il deficit pubblico, oltreché un principio importantissimo di giustizia sociale, uguaglianza e democrazia. La riduzione della spesa pubblica va vista sotto diverse angolazioni. In senso assoluto, è giusto e doveroso ridurre gli sprechi e le spese. In questi ultimi tempi si è fatto un gran parlare dei c.d. costi della politica, e si è fatta la proposta di tagliare il numero dei parlamentari, di eliminare le Provincie, di accorpare i piccoli Comuni, di ridurre le spese di rappresentanza, le auto blu, … Certo, se pensiamo che il Parlamento degli USA è composto di 535 membri (435 alla Camera e 100 al Senato) per 300 milioni di cittadini, mentre da noi in Italia ci sono 945 parlamentari eletti (630 alla Camera e 315 al Senato), oltre i senatori a vita, per 60 milioni di cittadini, allora viene da pensare che qualche taglio si potrebbe anche fare, viste le retribuzioni di ogni parlamentare. Se, invece, si pone mano alla riduzione della spesa in un particolare settore, ecco che queste diventano vere e proprie scelte politiche, che talvolta suscitano irritazione ed impopolarità. Quando si sente parlare di tagli alla sanità o nel mondo della scuola, i cittadini rimangono indignati, perché si ritiene che i tagli alla spesa pubblica debbano essere effettuati su altri settori. I contribuenti sarebbero anche felici di sopportare un prelievo fiscale elevato, se a tutto questo corrispondesse uno stato assistenziale adeguato alle esigenze della società. Ecco perché non ci fa paura il valore del 49 % di pressione fiscale della Danimarca.
Prof. Giuseppe Cantarella