Dopo circa trent’anni di regime ininterrotto, il vecchio Rais Mubarak ha lasciato il potere definitivamente, cedendo alle pressioni della piazza che, quasi da venti giorni, protestava nei suoi confronti. Ecco il messaggio del vicepresidente Suleiman che ha annunciato la resa di fronte al proprio popolo: «Cittadini, in nome di Dio misericordioso, nella difficile situazione che l’Egitto sta attraversando, il presidente Hosni Mubarak ha deciso di dimettersi dal suo mandato e ha incaricato le forze armate di gestire la situazione nel Paese. Che Dio ci aiuti». La giunta Militare suprema, che ormai ha il controllo politico all’interno del paese, ha voluto parlare direttamente al popolo tramite un documento, dicendo che: «l’esercito non è un sostituto alle aspirazioni legittime avanzate dal popolo. Siamo consapevoli della pericolosità della situazione e agiremo per venire incontro alle richieste dei cittadini. Definiremo in un secondo momento le misure e le procedure che seguiranno». Inoltre poi sono stati ricordati i martiri morti durante le manifestazioni contro il regime, e ringraziato il presidente Mubarak per il contributo che ha dato al Paese in pace e in guerra.
L’opposizione esulta tutta in coro per la vittoria nei confronti del vecchio leone e per la fase nuova apertasi in un paese cruciale per i destini del medio oriente. In piazza Tahrir, tripudi di persone e bandiere festanti, cori e slogan di vittoria. I militari si fanno fotografare con i manifestanti, anch’essi in festa con il segno V della vittoria sulle dita. Il breve messaggio pubblicato su Twitter dal Premio Nobel Mohammed ElBaradei era davvero eloquente: «È il più bel giorno della mia vita. il Paese è libero!». Anche se per adesso tutto sembra andare per il meglio, il futuro per il paese dei faraoni sembra davvero incerto. Cosa farà l’esercito, manterrà le proprie promesse? E soprattutto cosa faranno gli Stati Uniti concretamente, oltre le dichiarazioni di Obama e Baiden? Ricordiamo che gli Usa investono nell’esercito egiziano oltre un miliardo e mezzo di dollari in armamenti, missioni e organizzazione vera e propria delle forze armate. Sicuramente dalle parole del presidente Obama la decisione è quella di lasciare che il corso della storia sia nelle mani degli egiziani, ma interessi economici colossali, petrolio, armi e controllo di un’area geograficamente strategica, farebbero pensare il contrario. Dal punto di vista elettorale, il possibile candidato El Baradei, sembra che non abbia intenzione di candidarsi alla carica di presidente, e l’indiziato numero uno per adesso rimane Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba dal 2001. Eletto ministro degli Esteri nel 1991, Moussa è rimasto a capo della diplomazia egiziana fino al 2001. Durante il suo incarico come ministro, non ha lesinato critiche alla politica estera degli Stati Uniti e le sue relazioni con Israele.
Salvatore Borruto