Dieci morti e oltre 1.000 feriti: è questo il bilancio delle vittime degli scontri in corso da ieri tra i dimostranti pro e contro il Presidente egiziano Mubarak che da ormai 10 giorni manifestano in piazza Tahrir, al Cairo. I sostenitori del presidente hanno lanciato bombe molotov e ordigni artigianali contro gli oppositori, che hanno eretto barricate attorno alla piazza, stando al racconto di Al Jazeera. Da Washington, il Segretario di stato Usa, Hillary Clinton, ha telefonato al vicepresidente egiziano Omar Suleiman per condannare le violenze, definite “uno sviluppo scioccante dopo molti giorni di manifestazioni sempre pacifiche”. Il leader dell’opposizione Mohamed El Baradei ha dichiarato di non essere interessato a ruoli nel governo e si è detto estremamente preoccupato per gli scontri nella capitale in una intervista con la Bbc. Inoltre ha ribadito che per Mubarak sia arrivato il tempo di lasciare. L’alto rappresentante dell’UE Ashton ha sollecitato il presidente a fare qualcosa al più presto possibile. Ma l’Egitto rifiuta gli appelli a una transizione immediata del potere, come ha sostenuto il portavoce del ministero degli Esteri Hossam Zaki, dopo i ripetuti inviti in questo senso della Comunità Internazionale. Il popolo è arrivato al limite, la rabbia, la fame, la voglia di cambiamento, la ribellione verso un regime che da più di trent’anni ha portato lo stato egiziano alla miseria. Brucia anche il Museo egizio del Cairo, avvolto dalle fiamme di alcune molotov. Gruppi di manifestanti delle opposte fazioni si picchiano e picchiano anche i feriti che man mano vengono portati via, talvolta a spalla da altri manifestanti. L’esercito chiede che la gente liberi le strade e torni a casa. Intanto internet ha ripreso a funzionare e il coprifuoco è stato ridotto di due ore: comincia alle 17 e resta in vigore fino alle 8 del mattino. L’attività del Parlamento è stata sospesa in attesa che i tribunali si pronuncino sui ricorsi sull’esito delle elezioni legislative di novembre contestate dall’opposizione. Dopo giorni di dichiarazioni frammentarie, qualche volta confuse, di fronte al veloce evolversi delle proteste egiziane, gli Stati Uniti voltano pagina e abbandonano al suo destino l’ottantaduenne presidente, puntando sul popolo egiziano, sulla forza di autodeterminazione dei giovani che protestano e sui valori universali di democrazia e libertà. In un intervento attesissimo, durato solo quattro minuti, il presidente degli USA Obama ha pesato con estrema cautela ogni singola parola della sua dichiarazione. Ma nei confronti di Mubarak è stato chiarissimo: «Il suo discorso televisivo per quanto importante non è stato sufficiente e gli Stati Uniti si aspettano che la transizione cominci ora, subito. Anche il presidente Mubarak ha riconosciuto che lo status quo non è sostenibile e che serve un cambiamento – ha affermato Obama -. Per l’Egitto si è aperto un capitolo nuovo, Mubarak deve prenderne atto e garantire “subito” una transizione ordinata e pacifica». Con la caduta dell’attuale regime, gli Stati Uniti rischiano di perdere un importante e storico alleato in una regione difficile del Medio Oriente, con la paura che il nuovo governo non sia più cosi amico dell’Occidente come lo è stato l’Egitto degli ultimi trent’anni. Anche l’Italia è preoccupata per i nuovi scontri e sottolinea a questo punto l’urgenza inderogabile di realizzare riforme politiche e aperture democratiche, senza le quali si corre il rischio di “compromettere l’obiettivo della stabilità”. Lo ha detto il portavoce della Farnesina Maurizio Massari in un forum con rappresentanti del ministero degli Esteri e dell’ambasciata Usa a Roma. «Condanniamo ovviamente ogni forma di violenza – ha aggiunto Massari – e siamo convinti che il tempo sia il fattore essenziale: è necessario fare le riforme in maniera tempestiva».
M. Cristina Scullino