16 Ottobre 1943, uno dei giorni più bui della storia italiana: furono rastrellati 1259 ebrei e, dopo le prime eliminazioni, ne partirono in treno per Auschwitz 1023 il 18 ottobre. Arrivarono al campo polacco cinque giorni dopo. Di questi 1023 superarono la selezione 149 uomini, immessi con i numeri di matricola tatuati sul braccio da 158491 a 158639 e 47 donne, con matricole da 66172 a 66218. Per tutti gli altri, morte inesorabile col gas. Nel trasporto viaggiavano 244 bambini nati dopo il 1930 e 188 anziani nati prima del 1884. Il più giovane era nato il giorno prima della partenza, la più anziana aveva 90 anni. Tornarono solo in 17. Sono trascorsi undici anni dalla data in cui il Parlamento italiano ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 Gennaio “Il giorno della Memoria” per ricordare le vittime del nazionalsocialismo, del fascismo e dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo intervento al Quirinale, ha esortato a mantenere alta l’attenzione perché l’intolleranza non generi diffidenza in ciò che è diverso. «Dobbiamo sapere che il primo seme avvelenato, il primo germe distruttivo è quello dell’intolleranza, del nazionalismo e del populismo che si traducono in demonizzazione e odio del diverso e dello straniero. Nulla, se non un cieco razzismo persecutorio, poteva motivare l’espulsione, decretata dal fascismo, degli ebrei e delle loro comunità dal consorzio civile italiano e da ogni residua garanzia di diritti basilari», ha osservato il presidente che ha ricordato come «il sentimento nazionale italiano e la coscienza ebraica non si ponevano in termini di reciproca esclusione. È così importante che in questi ultimi anni si siano riaccesi i riflettori sulle aberranti leggi del 1938 e che se ne sia fatto un tema di severa rievocazione e denuncia, specie tra i giovani e nelle scuole. Non si può mai apprezzare abbastanza l’impegno ormai costante a promuovere, in ogni grado del sistema scolastico, lo studio e l’approfondimento della mostruosa vicenda della Shoah, delle premesse e delle componenti di un aberrante iter ideologico e politico che approdò a quello spaventoso esito di sterminio di inermi innocenti. Perché conta sapere e ricordare non solo cosa accadde, ma come ci si arrivò».
Ogni anno, in occasione del 27 Gennaio, sono molte le iniziative che hanno come obiettivo lo studio e l’analisi del genocidio nazista, con il compito fondamentale di trasmettere alle nuove generazioni la portata storica di quei tragici avvenimenti, affinché l’Olocausto non si ripeta. Progetti a livello nazionale per promuovere la formazione di una maggiore coscienza civile ed etica, per eliminare la persistenza del pregiudizio nei confronti di persone che, ancora oggi, sono oggetto di ripetuti episodi di violenza. Tutte le forme di emarginazione, discriminazione ed esclusione dalla società non possono che alimentare atteggiamenti gravi, condizionati da una molteplicità di pregiudizi, per lo più senza alcun fondamento, con conseguenze non prevedibili e perfino atroci. Tra le altre vittime, anche disabili, Rom e omosessuali considerati dai nazisti “vite indegne di essere vissute”, contagiosi, malvagi, pericolosi, non adatti a creare uno stato ‘razzalmente’ puro. Seminari, mostre, libri, incontri con i sopravvissuti dei campi di concentramento. Spot televisivi, concerti, rappresentazioni teatrali. Sempre di più le realtà a livello locale si mobilitano per ricordare questa data: un atto di riconoscimento dell’inferno che si nascondeva dietro il cancello di Auschwitz e degli altri campi di sterminio. Ultima iniziativa, le cosiddette ‘pietre d’inciampo’, i sampietrini che servono a ricordare la deportazione degli ebrei e degli oppositori politici, opera dell’artista tedesco Guenter Demnig. L’idea ha avuto il suo esordio in Germania a Colonia nel 1995 e da allora ne sono stati installati più di 22 mila in Germania, in Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia e Paesi Bassi.
Adesso tocca a Roma, come è stato annunciato in una conferenza stampa da parte della curatrice dell’iniziativa Adachiara Zevi :« Le nuove pietre d’inciampo (Stolpersteine, in tedesco) saranno apposte nel primo municipio, nel secondo, nel terzo, nel nono e nel diciassettesimo, proprio davanti alle case in cui hanno vissuto uno o più deportati. A distinguerli dal resto della pavimentazione la superficie superiore di ottone trasparente con incisi il nome e cognome del deportato, l’anno di nascita, la data e il luogo della deportazione e, quando nota, la data di morte.
L’inciampo non è fisico, ma visivo e mentale, costringe chi passa a interrogarsi su quella diversità e agli attuali abitanti della casa, a ricordare quanto accaduto in quel luogo e a quella data, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l’attualità». Ricordare perché non accada ancora, perché l’ignoranza non generi ancora altro antisemitismo, mai più.
M. Cristina Scullino