L’ultimo parametro stabilito dal Trattato di Maastricht per l’adozione della Moneta Unica riguarda la stabilità del tasso di cambio, ovverossia la quotazione della valuta nazionale deve collocarsi, per almeno due anni, all’interno dei margini normali di fluttuazione fissati negli accordi di cambio senza svalutazioni nei confronti della moneta di qualsiasi altro Stato membro. Per spiegare con semplicità quest’ultimo parametro bisogna fare un po’ di storia. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale le principali monete internazionali erano inserite nel sistema di Bretton Woods, che prevedeva la convertibilità del Dollaro in oro, al prezzo fisso di 35 dollari l’oncia. Questo sistema aveva garantito per lunghi anni cambi fissi fra le principali valute, compreso quelle europee. Gli scossoni finanziari dei primi anni ’70 indussero gli Stati Uniti d’America a chiedere la rescissione degli accordi di Bretton Woods: si torno così ad un sistema di cambi variabili, in cui le monete deboli potevano correre il rischio di essere svalutate. Ora, verso la fine degli anni ’70, precisamente nel 1979, i paesi della CEE decisero di realizzare un accordo per rendere stabile il valore delle monete: fu realizzato, quindi, il Sistema Monetario Europeo, con la creazione di una moneta virtuale, l’ECU, che serviva quale unità di conto per la contabilità della Comunità. Gli accordi SME avevano diviso le valute europee in due categorie: quelle forti potevano sopportare un’oscillazione pari al 2,25 % in più o in meno, quelle deboli potevano sopportare una variazione del cambio fino ad un massimo del 6 % in più o in meno. Gli accordi di Maastricht avevano rivisto tutti gli accordi preesistenti al 1992, e fra questi l’accordo SME venne rivisto in chiave EURO, e fu deciso che avrebbero adottato la Moneta Unica quei Paesi che facessero parte dello SME da almeno due anni: questo perché se le oscillazioni avessero superato i valori massimi previsti della banda, si sarebbe aperta la procedura di espulsione dallo SME e per rientrare bisognava svalutare la propria moneta. Manco a dirlo, la Lira, la moneta italiana piuttosto debole sui mercati internazionali a causa dell’elevato debito pubblico, proprio negli anni a cavallo del Trattato di Maastricht, fu fatta oggetto di speculazioni sui mercati internazionali (si sa, il lupo attacca sempre la pecora zoppa …) e le autorità monetarie del nostro Governo furono costrette a svalutare. La Lira, comunque, rientrò nello SME in tempo per la fatidica riunione dei ministri economici e finanziari del 2 e 3 Maggio 1998, in cui furono decisi i Paesi che avrebbero adottato la moneta unica ed il valore stesso dell’EURO.
Prof. Giuseppe Cantarella