Non ha lasciato alcuna spiegazione al suo gesto: se n’è andato così Mario Monicelli, in silenzio, lanciandosi dal balcone del quinto piano del reparto di urologia presso l’ospedale San Giovanni di Roma. Il regista era malato da tempo, stava lentamente perdendo la vista. Un sanitario ha anche riferito: “Era stanco di vivere”. La notizia ha fatto il giro in tempo reale su tutti i più importanti social network. Lo stesso Fabio Fazio, durante la diretta di Vieni via con me, ha momentaneamente fermato il programma per l’arrivo della notizia: “Non posso andare avanti: devo dirvi che è morto Mario Monicelli. Lo avremmo tanto voluto qui, ma era malato e adesso non c’è più”. Il pubblico ha accolto la notizia con un lungo applauso. Accanto allo sgomento di personaggi dello spettacolo vicini al Maestro, da Aurelio de Laurentis a Carlo Verdone, resta ovviamente l’immenso dolore della famiglia che, rispettando le volontà di Monicelli, ha preferito non celebrare funerali. Nonostante l’offerta di Alemanno di allestire la camera ardente al Campidoglio (“Siamo di fronte – ha detto il sindaco di Roma- a un grande regista e testimone della cultura contemporanea che merita di essere accolto qui in Campidoglio”), la salma è stata portata prima al Rione Monti di Roma, per l’ultimo saluto del quartiere dove era vissuto il regista. Quindi il feretro è stato esposto presso la Casa del Cinema, per poi essere cremato. Viareggio, città natia di Monicelli, ha osservato, secondo le disposizioni del sindaco Lunardi, una giornata di lutto. Cosa ci lascia il grande Monicelli? Considerato uno dei padri della commedia all’italiana, classe 1915, si è distinto sulla scena del cinema nazionale tanto per l’assidua collaborazione con grandi nomi quali Dino Risi, Totò, Luigi Comencini, quanto per la sua vita interamente dedicata al grande schermo: è stato infatti regista di oltre 60 film e autore di più di 80 sceneggiature. Una produzione quasi ininterrotta a partire da I ragazzi della via Paal (1964), a I soliti ignoti (che ha ottenuto una nomination all’oscar), all’indimenticabile Amici Miei (1975). Monicelli ha saputo cogliere le trasformazioni della società italiana, con l’acume che l’ha sempre contraddistinto, soprattutto nei film degli anni novanta di cui si ricorda in particolare Parenti Serpenti (1993). Proprio in questi giorni a New York era stato presentato in chiave retrospettiva uno dei suoi film neorealisti, Risate di Gioia, con Anna Magnani. Da non dimenticare, inoltre, il suo spirito battagliero nel campo politico e sociale; ultimamente il regista aveva preso parte al Viola Day dello scorso Febbraio e al primo No B Day. L’Italia era per lui una “penisola alla deriva”. Indimenticabile anche il suo appello ai giovani a non arrendersi nella costruzione di una Repubblica basata su giustizia e uguaglianza. Quelli stessi giovani che ieri l’hanno salutato sventolando lo striscione: “Vedrai, la faremo la rivoluzione”. Il battagliero Monicelli ha, suo malgrado, creato dibattito su temi scottanti anche dopo la sua morte: durante l’ultimo saluto alla Camera, si è infatti aperta una polemica riaprendo l’ormai trita questione sull’eutanasia. I radicali hanno invitato a “riflettere sulle ragioni del gesto”; l’on. Binetti (Udc) ha invece invitato tutti a frenare “gli spot” sull’eutanasia. Il Presidente Napolitano, esprimendo il suo cordoglio alla famiglia (“Egli è stato tra le personalità più originali, operose e creative del cinema del Novecento e sarà ricordato da milioni di italiani per come ha saputo farli sorridere, commuovere e riflettere”, ha scritto il Presidente della Repubblica nel messaggio inviato alla famiglia del regista), ha invitato tutti a rispettare “l’ultima manifestazione forte della sua volontà”. Il silenzio dinanzi tali scelte resta forse davvero l’addio più caloroso.
Elisa Gerardis