Sergio Marchionne

03\11\2010 – Ha fatto discutere, qualche giorno fa, una dichiarazione dell’amministratore delegato della FIAT: ospite della trasmissione di Fabio Fazio su RaiTre “Che Tempo Che Fa”, Marchionne ha, fra l’altro, affermato che “Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l’Italia”. Ed ancora: “Nemmeno un euro dei 2 miliardi dell’utile operativo previsto per il 2010 arriva dall’Italia. Fiat non può continuare a gestire in perdita le proprie fabbriche per sempre”. Come al solito, si estrapolano alcune frasi da un discorso e si rischia di perdere la logica complessiva di un pensiero e di un’idea. Cerchiamo, quindi, di analizzare i fatti. Nella storia complessiva della FIAT bisogna tirare una linea di demarcazione abbastanza netta che riguarda un’epoca storica oggi terminata: l’epoca in cui il Governo italiano aveva una politica economica di gestione diretta di consistenti settori dell’economia, e di sovvenzioni a favore degli imprenditori privati. In quel periodo, che coincide peraltro – grosso modo – con l’epopea dell’Avvocato Giovanni Agnelli, la FIAT ricevette sovvenzioni dal Governo per le proprie attività industriali. Bisogna tuttavia riconoscere che la multinazionale torinese ha rappresentato per decenni la vera colonna portante dell’intera economia nazionale. Oggi ci sono due importanti novità con le quali bisogna fare i conti: la fine dell’epoca dell’intervento diretto del Governo nell’economia ed il mutato quadro internazionale. Soprattutto quest’ultimo aspetto va preso in considerazione, per due ordini di motivi: oggi per costruire automobili è necessario mettere sul mercato un gruppo industriale da almeno 800.000 unità l’anno, per raggiungere quelle che vengono denominate economie di scala; ed infatti, in questi ultimi anni, abbiamo assistito ad accorpamenti di marchi anche prestigiosi (ricordiamo la fusione Chevrolet – Daewoo, od anche lo stesso accordo FIAT – Chrysler). Bisogna tenere conto, inoltre, delle tendenze del mercato internazionale: tutti i grandi marchi automobilistici stanno costruendo linee produttive, catene di montaggio e stabilimenti di assemblaggio nei Paesi in Via di Sviluppo, per approfittare di due fattori importantissimi: il basso costo della mano d’opera e la presenza di mercati in espansione. Rimane solo una constatazione, che abbiamo sentito qualche giorno fa, proveniente dall’uomo comune, ignorante di Economia ma abituato alle cose pratiche: ma, allora, perché le automobili costano sempre tanto? Se vengono costruite nei PVS dove la mano d’opera costa di meno, anche il prezzo dovrebbe scendere. Ed invece costano sempre lo stesso prezzo.

Prof. Giuseppe Cantarella

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