É innegabile negli ultimi anni abbiamo visto l’affermarsi di una globalizzazione dell’economia e dei mercati che hanno portato ad un immenso serbatoio di manodopera a disposizione delle aziende pubbliche e private. Chi si affaccia al mondo del lavoro oggi deve misurarsi solo con un mercato interno, ma deve competere con una forza lavoro tecnicamente preparata e per di più disposta a lavorare a costi più bassi. I giovani con alta scolarizzazione, diplomati, laureati, con ottimi voti e con profili professionali appetibili, faticano a trovare lavoro o se lo trovano si tratta di un lavoro a tempo determinato spesso non attinente alle proprie aspettative e gli studi portati a termine. Questo è quello qui da noi , al meridione, dove la gente è costretta a lavorare a settimane, giorni, per collaborazioni o posti a tempo indeterminato. Qui dove esistono per la maggior parte lavoratori “atipici”, i cosiddetti precari, che oramai da recenti studi vengono classificati con percentuali molto alte (tenendo conto che in Italia sono circa 4 milioni). Il 13% lavora “a scadenza” da oltre 10 anni. Gli atipici di lunga durata hanno fra i 30 e i 40 anni, ma ci sono anche alcuni over 50 fuoriusciti da imprese in crisi. Più donne che uomini. Più meridionali che settentrionali. Occupati circa sei mesi l’anno. I colloboratori sono il 4,1% degli occupati, l’incidenza tra le donne è del 5,7%. Il lavoro a termine riguarda 10 persone su 100, queste diventano 24 su 100 tra i giovani, 12 su 100 tra i residenti nel Mezzogiorno e 13 ogni 100 fra le donne.
Giovanna Melissari