Una nuova ricerca mostra come modelli unici di attività cerebrale possono essere utilizzati per scopi di identificazione, nonché per il rilevamento di malattie neurologiche come l’Alzheimer
Il nostro cervello ha modelli di attività che sono unici per ogni individuo, simili a un’impronta digitale. Mentre gli scienziati sono stati in precedenza in grado di identificare tali “impronte digitali” sulla base di due risonanze magnetiche prese in un periodo di tempo, uno studio peer-reviewed (valutazione critica) pubblicato venerdì sulla rivista Science Advances ha scoperto che questi modelli possono essere identificati al disotto due minuti. I ricercatori hanno utilizzato l’imaging pesato in diffusione per mappare i percorsi della materia cerebrale bianca e identificare le connessioni strutturali, e hanno usato fMRI (immagini di risonanza magnetica funzionale) per modellare le connessioni funzionali, che hanno scoperto essere più importanti mentre i soggetti erano in uno stato di riposo. Sebbene sia più facile identificare un soggetto quando si verificano esplosioni di attività cerebrale in intervalli di tempo più lunghi, i ricercatori hanno scoperto che il periodo di tempo in cui vengono stabilite queste connessioni cognitive è correlato alle funzioni delle diverse parti del cervello; le funzioni visive e motorie volontarie tendono ad apparire in intervalli più brevi, mentre l’attività nella regione fronto-parietale, che è associata al funzionamento esecutivo e alla risoluzione dei problemi, si verifica più spesso in sequenze più lunghe. Questi risultati aprono nuovi orizzonti nella comprensione delle “impronte digitali” del cervello da parte dei neuroscienziati e possono rendere significativamente più semplice il processo di identificazione delle persone sulla base di queste impronte digitali. I ricercatori hanno anche scoperto che gli aspetti delle “impronte digitali” del cervello che consentono loro di essere utilizzate per l’identificazione scompaiono nel tempo nei soggetti con malattia di Alzheimer , secondo l’American Association for the Advancement of Science (AAAS). “È come se una persona con Alzheimer perdesse la sua identità cerebrale”, ha detto Enrico Amico, scienziato del Laboratorio di elaborazione delle immagini mediche e Centro di neuroprotesi dell’università svizzera Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL). Questo fatto, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, potrebbe rendere più facile rilevare l’Alzheimer mentre è ancora nelle sue fasi iniziali e potrebbe persino aiutare a identificare i pazienti con autismo, ictus o tossicodipendenza.
Comunicato Stampa – Sportello dei Diritti